Partiti in crisi, governi in affanno: la settimana scandinava
Partiti in crisi e governi in affanno: basta sfogliare le pagine dei quotidiani scandinavi per scovare elementi di tensione in giro per il Nord Europa.
Sono settimane delicate per il primo ministro finlandese Jyrki Katainen, ad esempio, che guida un governo sempre più sotto pressione. La politica economica dell’esecutivo sembra destinate ad essere rimessa in discussione. E a chiederlo sono pezzi della stessa maggioranza.
Nei giorni scorsi critiche erano state espresse prima da Paavo Arhinmäki, ministro della Cultura e dello Sport, e poi da Jutta Urpilainen, ministro delle Finanze, entrambi perplessi circa l’opportunità di tagliare altri tre miliardi di euro di spesa pubblica per tenere a bada il debito. Terzo in ordine di tempo, a contestate le posizioni di Katainen è stato Jouni Backman, alla testa del gruppo parlamentare laburista.
A Backman non sono piaciute le parole del primo ministro, convinto che la politica di contenimento dei costi dovrebbe proseguire anche nella prossima legislatura: “Sono completamente in disaccordo con il premier” ha dichiarato Backman, “non è giusto che un governo in carica faccia così grandi pressioni su quello che sarà il prossimo parlamento”.
Nel frattempo anche l’Osce torna a bussare alle porte di Helsinki, pressando il governo e chiedendo riforme strutturali in tempi brevi: innalzamento dell’età pensionabile e fusione dei comuni sono due delle richieste che vengono recapitate al premier Katainen. Elementi indispensabili, dice l’Ocse, per stimolare la crescita del paese e mettere un freno all’aumento del debito senza dover ricorrere a tagli o aumenti delle tasse.
Tira una brutta aria anche in Danimarca, in particolare dalle parti del Partito Popolare Socialista, a rischio sfaldamento dopo l’uscita dal governo decisa un paio di settimane fa. Dopo Astrid Krag, un altro membri di spicco del partito ha scelto di lasciare i suoi vecchi compagni per passare ai socialdemocratici: è Ole Sohn, ex ministro degli Affari e della Crescita.
Una decisione che era nell’aria. “Ho riflettuto sulla situazione” ha spiegato “e ho concluso che non posso seguire il partito nella direzione che ha preso”. Sohn va a ritrovare Krag tra i laburisti. Ida Margrete Meier Auken invece ha scelto i centristi della Sinistra Radicale come nuova collocazione politica.
Il Partito Popolare Socialista sembra avvitato in una crisi senza fine. Stando agli ultimi sondaggi, la formazione politica che per due anni e mezzo è stata parte del governo della Danimarca è al 3,8 per cento: molto lontano dal 9,2 raccolto alle elezioni del settembre 2011. Due terzi dei sostenitori del partito se ne sono andati altrove.
In Norvegia se la passa altrettanto male il Partito di Centro. Le dimissioni di Liv Signe Navarsete, a inizio 2014, hanno aperto la caccia alla leadership. Trygve Slagsvold Vedum resta il favorito e Ola Morten Boe è sempre nel mirino dei suoi colleghi di partito, convinti che l’ex ministro del Petrolio e dell’Energia debba fare un passo indietro.
Lui, però, è deciso più che mai a difendere la sua esistenza politica. La scorsa settimana, nel corso di una intervista radiofonica Ola Morten Boe ha assicurato il suo sostegno a chiunque succederà a Navarsete e ha aperto agli altri due partiti di centro presenti in Parlamento: Liberali e Cristianodemocratici. È importante, ha dichiarato, che chi condivide valori simili riesca a collaborare.
Allo stesso tempo, però, Moe ha difeso i suoi ex partner di governo, i laburisti e il Partito della Sinistra Socialista, insieme ai quali ha guidato il paese dal 2005 al 2013. Un equilibrismo che potrebbe non servire a molto, considerato che la maggioranza dei membri del Partito di Centro lo vuole accompagnare alla porta.
Nel frattempo, i sondaggi raccontano di un ulteriore scivolamento verso il basso. Ci sono commentatori politici in Norvegia che si chiedono se le lotte all’interno del partito non rischino di condurre i centristi verso la sparizione.