Le mani in tasca: un’analisi linguistica del discorso di Renzi al Senato
Matteo Renzi è così: o lo si ama o lo si odia. Sembra però che dopo il discorso pronunciato ieri in Senato l’ago della bilancia per molti commentatori sia scivolato verso la seconda ipotesi. Stando a una mia personalissima e assolutamente non scientifica ricognizione, pare che a scandalizzare maggiormente editorialisti e opinionisti del web siano state queste mani che spesso cercavano la tasca.
Pur tributando il valore che merita alla comunicazione non verbale, soprattutto in circostanze come questa, forse è il caso di andare a vedere anche cosa effettivamente il Presidente del Consiglio abbia detto, a prescindere da dove tenesse le mani e perché.
Quali parole ha usato Renzi e quali invece ha omesso? A chi si è rivolto e per veicolare quale messaggio?
Come di consueto, abbiamo forzato il lucchetto della scatola della comunicazione renziana, passando il discorso, trascritto per Termometro Politico da Gabriele Maestri, sotto la lente dei software sviluppati dall’ItaliaNLP Lab dell’Istituto di Linguistica Computazionale “Antonio Zampolli”. Ed ecco cosa c’era dentro.
Dal punto di vista della leggibilità il discorso riserva la prima, grande sorpresa: totalizza appena 49,3 punti sull’indice Gulpease, risultando comprensibile facilmente soltanto da chi abbia conseguito la licenza liceale. Renzi ci aveva abituato a ben altri punteggi, superando sistematicamente i 60 punti nelle sue apparizioni pubbliche.
Cosa è successo, dunque? Si potrebbe pensare che abbia semplicemente adeguato il linguaggio al contesto dell’aula del Senato, operando una scelta terminologica più esclusiva, ma i dati smentiscono questa ipotesi: la percentuale di termini appartenenti al Vocabolario di Base resta superiore al 70%, in linea con i discorsi del Renzi sindaco. E allora cosa? Banalmente, la scelta di parlare a braccio ha complicato la sintassi del Presidente, che si è spesso – molto più spesso del solito – avviluppato su frasi troppo lunghe e intricate., soprattutto su quei terreni sui quali non si sentiva perfettamente a suo agio.
La proiezione della leggibilità sul testo può chiarire maggiormente questi aspetti.
Ironia della sorte vuole (e noi sappiamo che con la scienza ha molto a che fare l’ironia ma pochissimo la sorte) che la frase più lunga e ingarbugliata dell’intero discorso sia la numero 18, quella in cui Renzi spiega quanto sia orgoglioso di essere democratico e perché.
L’altra frase ai limiti dell’incomprensibilità è la numero 259, una lunga preterizione sul piano del lavoro che il Governo dovrebbe presentare a marzo, “una sorta di piano industriale per i singoli settori”, del quale evidentemente poco o niente è stato definito.
Le frasi più chiare, dirette e incisive, come sempre parlando di Renzi, sono invece gli slogan: “La crisi ha il volto di donne e di uomini, e non di slides”; “Sostenere che l’identità è il contrario dell’integrazione significa prendere a botte il niente”; “il futuro dell’Italia sta nelle qualità, nel genio, nell’intelligenza e nella curiosità di ciascuno di noi”.
L’estrazione terminologica racconta però una storia diversa da quella dipinta dalle frasi forti: le catene di significanti maggiormente rilevanti per l’algoritmo di analisi sono “semestre europeo”, “edilizia scolastica” e “far fronte alla crisi economica”. In particolare il semestre europeo compare per ben nove volte in posizioni sintatticamente rilevanti, offrendo l’orizzonte ultimo del ragionamento renziano: si parla di 2018, ma non c’è un programma a lungo termine. Il Presidente del Consiglio punta a realizzare entro dicembre il suo piano, e poi valutare se tornare al voto o procedere con la legislatura.
Gli altri due sintagmi testimoniano invece l’ampio – amplissimo – spazio riservato da Renzi al tema della scuola e di tutto ciò che le ruota intorno (anche l’espressione “far fronte alla crisi economica” è usata esclusivamente in relazione all’importanza della scuola). In termini di frasi e anche di minutaggio, la preponderanza del tema incuriosisce. E’ possibile che, parlando a braccio, il segretario del PD si sia involontariamente rifugiato più spesso in un argomento che conosce bene sia per i suoi trascorsi da sindaco che per il fatto di aver sposato, come tutti sanno, un’insegnante.
Un’ultima notazione: salta agli occhi come Renzi abbia cercato dal primo momento di trasformare il monologo in un dialogo, attaccando prima i senatori in generale (che non hanno sostanzialmente reagito alla provocazione) e poi i cinquestelle in particolare (qui il gioco gli è stato più facile). In questo modo ha potuto mettere in campo anche tutte quelle astuzie da talk show televisivo (“noi abbiamo vinto sempre, voi avete sempre perso”; “mentre voi vi divertivate, fuori c’era il dolore”; “ho parlato ieri con un disoccupato che ha dei figli”) con le quali si sente a suo agio e che sarebbero state assolutamente fuori luogo in un discorso programmatico istituzionale, con le mani fuori dalle tasche.
Giovanni Laccetti
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Le analisi linguistiche all’interno di questo articolo sono state realizzate con software sviluppati da ItaliaNLP Lab – www.italianlp.it, Istituto di Linguistica Computazionale “A. Zampolli” (ILC) – www.ilc.cnr.it, Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), area di Pisa.