La settimana scandinava tra economia ed Europa

Pubblicato il 27 Febbraio 2014 alle 16:36 Autore: Antonio Scafati

È l’Islanda con il suo addio all’ Europa la protagonista degli ultimi giorni in Scandinavia. Il governo di Reykjavík ha deciso di interrompere i colloqui per l’adesione all’Unione europea, scatenando le proteste degli abitanti dell’isola. In Svezia e in Finlandia, intanto, politica ed economia procedono a braccetto.

Il governo islandese ha detto no a Bruxelles. Niente adesione all’Unione europea. Reykjavík resta così come sta. Sia il Partito Progressista sia Partito dell’Indipendenza, che formano l’attuale coalizione di governo, hanno deciso di chiuderla qui, mettendo fine a mesi di incertezze.

Il parlamento islandese

Il parlamento islandese

A far calare il sipario è stata dunque la politica, ed è un epilogo che va in netto contrasto con quanto promesso dai due partiti di centrodestra durante la campagna elettorale della scorsa primavera, quando era stato più volte detto che sarebbero stati gli islandesi attraverso un referendum a decidere la cornice internazionale nella quale collocare l’isola.

Le reazioni di Bruxelles? Ufficialmente le porte dell’Unione europea sono sempre aperte: “Ho avuto una conversazione con Štefan Füle, Commissario per l’allargamento, e alcuni dei miei altri colleghi nordici” ha dichiarato il ministro degli Esteri islandese Gunnar Bragi Sveinsson, “e l’impressione che ho avuto è stato che l’Islanda è sempre la benvenuta nella Ue”. Anche dall’ufficio di Füle sono arrivate parole del genere, ma a Reykjavík qualche quotidiano ha scritto cose diverse: a questo punto, per l’Islanda in futuro potrebbe essere molto difficile convincere l’Europa ad aprire un altro negoziato.

Quel che è certo è che i cittadini islandesi non hanno apprezzato la scelta dei loro governanti. Lunedì pomeriggio circa 4mila persone si sono radunate di fronte al Parlamento di Reykjavík per protestare contro la decisione dei due partiti di maggioranza e per chiedere un referendum. Così tanta gente di fronte al Parlamento non si vedeva dal 2009.

Altre manifestazioni sono state promosse nei giorni successivi. In poche ore una petizione ha raccolto 30mila firme (quasi un islandese su dieci) per chiedere al governo di ripensarci e di rispettare gli impegni presi in campagna elettorale. Un sondaggio pubblicato dal quotidiano Fréttablaðið e dall’emittente televisiva Stöð 2 ha mostrato come la maggioranza degli islandesi voglia un referendum.

Il premier Sigmundur Davíð Gunnlaugsson ha però puntato i piedi: “La copertura mediatica è stata la più parziale che io abbia mai visto. La gente dovrebbe forse darsi una calmata e dare un’occhiata a cosa sta accadendo” ha dichiarato il primo ministro, il quale ha ripetuto che per “l’Islanda è meglio restare fuori dall’Ue, non vogliamo aderire all’Unione europea e dunque è ovvio non continuare i colloqui”.

Sigmundur Davíð Gunnlaugsson ha ricevuto una preziosa sponda anche dal presidente della Repubblica Ólafur Ragnar Grímsson: “L’Ue non è adatta all’Islanda per le stesse ragioni che spingono la Norvegia a rimanerne fuori e che hanno spinto la Groenlandia a uscirne. L’Ue non è adatta in considerazione della nostra economia e della nostra collocazione geografica”.

Chissà se le pressioni serviranno a far fare marcia indietro al governo così come è successo ad esempio in Finlandia, dove la coalizione di maggioranza guidata da Jyrki Katainen ha abbandonato l’idea di tagliare subito altri tre miliardi di spesa pubblica per mettere un freno alla crescita del debito statale. Le pressioni, per la verità, erano arrivate soprattutto dall’interno della stessa maggioranza. Le correzioni di bilancio verranno così spalmate su più anni.

Jyrki Katainen

Jyrki Katainen

Nelle ultime settimane, Katainen ha messo spesso intorno a un tavolo il suo governo e i partiti di opposizione, alla ricerca di una linea condivisa. Fino a oggi però ha ottenuto scarsi risultati. Martedì, uscendo dall’ennesimo incontro, il primo ministro ha dichiarato: “L’opposizione non ha indicato quanti miliardi dovrebbero essere tagliati in quale anno, né il governo glielo ha chiesto. Non stavamo cercando appoggi per l’esecutivo, ma di stabilire una via comune per il futuro della Finlandia”. L’opposizione però lamenta proprio l’assenza di numeri, strategie, prospettive: da questi vertici, dicono, per ora è uscito ben poco.

Nel frattempo, la speranza di Helsinki è quella di rimettere in moto l’economia. L’Ocse ha recentemente rivisto le proprie stime di crescita per l’economia finlandese: da 1,3 per cento a 1,1. L’anno prossimo il Pil dovrebbe espandersi dell’1,9. Il 2014 nel frattempo dovrebbe essere anche l’anno del picco della disoccupazione: 8,3 per cento, prima di riprendere a scendere nel 2015. La percentuale di senza lavoro per ora si attesta sull’8,5: 221mila persone senza impiego.

Anche in Svezia è l’intreccio tra economia e politica a dettare l’agenda. Nel tentativo di rovesciare i sondaggi, il governo di centrodestra del premier Reinfeldt ha deciso di ribaltare la propria linea politica: basta tagli fiscali, anzi, più tasse per finanziare scuola e riforme.

Il ministro delle Finanze Anders Borg ha spiegato di voler mettere insieme più fondi da destinare all’educazione e alla scuola – uno degli argomenti che gli svedesi sentono di più. “Vogliamo finanziare l’istruzione, l’occupazione e la competitività” ha dichiarato il ministro. Dove recuperare il denaro? Dalle tasse: tabacco, automobili e alcol costeranno di più.

Anders Borg ha detto di aspettarsi una crescita del 2,5 per cento quest’anno e del 3,5 l’anno prossimo. Dovrebbe scendere anche la disoccupazione: era stata l’8 per cento l’anno scorso, dovrebbe essere al 7,7 per cento quest’anno per poi scendere al 7,3 nel 2015. “L’economia sta gradualmente tornando alla normalità” ha detto Borg, che sembra dire agli svedesi: siamo sulla strada giusta, dateci fiducia, votateci di nuovo a settembre. Gli daranno retta, gli elettori? Improbabile.




L'autore: Antonio Scafati

Antonio Scafati è nato a Roma nel 1984. Dopo la gavetta presso alcune testate locali è approdato alla redazione Tg di RomaUno tv, la più importante emittente televisiva privata del Lazio, dove è rimasto per due anni e mezzo. Si è occupato per anni di paesi scandinavi: ha firmato articoli su diverse testate tra cui Area, L’Occidentale, Lettera43. È autore di “Rugby per non frequentanti”, guida multimediale edita da Il Menocchio. Ha coordinato la redazione Esteri di TermometroPolitico fino al dicembre 2014. Follow @antonio_scafati
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