Elezioni europee e finanze pubbliche: la settimana scandinava
Mancano un paio di mesi alle elezioni europee ma la testa della Finlandia è sempre rivolta all’economia. E i problemi delle finanze pubbliche diventano inevitabilmente problemi politici. In Svezia invece le europee sono soprattutto una tappa di avvicinamento verso le elezioni di settembre.
Stoccolma infatti è alle prese col suo ‘super-anno elettorale’ e il secondo l’appuntamento è chiaramente quello più atteso nonostante il risultato sembri già scritto: l’opposizione di centrosinistra vincerà le elezioni, il governo guidato dal primo ministro Fredrik Reinfeldt non otterrà il terzo mandato consecutivo. Da mesi i sondaggi raccontano questa storia.
Le parole di Gustav Fridolin, portavoce dei Verdi, hanno reso la partita ancora meno incerta: il suo partito è pronto a sostenere i socialdemocratici e a formare insieme a loro un governo in cambio di un impegno concreto contro il cambiamento climatico e la disoccupazione.
La stampa svedese spende fiumi di inchiostro per raccontare come il paese si sta avvicinando al voto. Göran Eriksson, analista del quotidiano Svenska Dagbladet, lo scorso fine settimana si è occupato di Anders Borg, ministro delle Finanze, figura di spicco nel panorama del centrodestra, noto all’estero soprattutto per il suo codino (che ha tagliato) e per l’orecchino (che ha ancora). Borg è l’ariete che il Partito dei Moderati sta usando per sfondare la diffidenza degli svedesi e convincerli a dare ancora un’opportunità al centrodestra.
Borg entra ormai in qualunque discussione, ha scritto Eriksson: scuola, sicurezza, difesa, e lo fa con la stessa competenza con cui è solito parlare di tassi di interesse e prospettive di crescita. “Borg è il ministro più popolare del governo” ha spiegato Eriksson, ed è anche il naturale successore di Reinfeldt alla guida dei Moderati. Chi verrà dopo l’attuale primo ministro dovrà essere capace di presentarsi agli occhi degli elettori come un politico a 360 gradi. Borg studia da premier ma per mettere in pratica ciò che sta imparando dovrà aspettare qualche anno.
Anche in Finlandia un occhio è puntato verso le elezioni europee di fine maggio. Il favorito è il Partito di Coalizione Nazionale del primo ministro Jyrki Katainen che secondo i sondaggi viaggia verso un risultato superiore al 23 per cento: più di quanto otterrebbe se fossero elezioni nazionali. In seconda piazza il Partito di Centro (18,1) seguito dal Partito dei Finlandesi (17,8), entrambi all’opposizione. I Socialdemocratici inseguono al 16,3 per cento, un esito deludente in linea con ciò che otterrebbero se si votasse per il Parlamento.
Ma l’attenzione è altrove. Lunedì scorso la maggioranza si è seduta intorno a un tavolo per trovare un accordo sulle linee di politica economica dei prossimi anni. L’obiettivo è sempre lo stesso: mettere un freno alla crescita del debito. Per riuscirci, il governo è intenzionato a correre sui binari già percorsi negli ultimi anni: tagli alla spesa e aumenti fiscali.
Ma il sentiero si fa sempre più stretto. Il premier Katainen lo sa, tanto da aver approcciato i colloqui con una frase che è sembrata una premonizione: “Sarà estremamente difficile. Estremamente difficile. Ogni singolo euro, ogni singolo miliardo richiederà duro lavoro. Ma faremo ciò che è necessario”.
Le conseguenze politiche non si sono fatte attendere: l’Alleanza di Sinistra ha abbandonato il governo. Il ministro della Cultura e dello Sport Arhinmäki l’aveva detto: se il governo deciderà di fare cassa sulla pelle delle persone con i redditi più bassi, il suo partito avrebbe lasciato la maggioranza. Così è stato. Irricevibile per il partito la decisione di tagliare la spesa e aumentare le tasse: martedì sera, dopo aver chiesto (senza ottenerli) altri colloqui per correggere la rotta, l’Alleanza di Sinistra ha detto basta.
La sopravvivenza dell’esecutivo non è a rischio (in Parlamento la maggioranza scende da 124 a 112 deputati su 200) ma il segnale politico è forte.
Katainen ha ormai il duplice compito di rimettere in sesto i conti del paese e tenere insieme un governo pieno di tensioni. “La situazione economica della Finlandia è estremamente difficile e qualcuno deve lavorare per risolverla”, ha dichiarato il premier, “l’Alleanza di Sinistra ha scelto di non essere parte di queste decisioni. Senza queste misure, staremmo però molto peggio”.
In Islanda intanto proseguono le proteste di piazza dopo la decisione del governo di centrodestra di chiudere i colloqui per l’adesione all’Unione europea senza passare per quel referendum promesso in campagna elettorale. Sabato scorso circa 2mila persone si sono radunate di fronte al Parlamento per chiedere al governo di ripensarci e consentire alla popolazione di esprimere un parere.
È stato il quarto sabato consecutivo di proteste. Circa 53mila persone (il 22 per cento degli aventi diritto di voto in Islanda) hanno sottoscritto una petizione per chiedere all’esecutivo di convocare un referendum. Il governo però non arretra: “Rispetto le persone che protestano e ascolto cosa hanno da dire” ha dichiarato il ministro degli esteri Gunnar Bragi Sveinsson, “ma ho già affermato in passato che si tratta di una decisione di un governo che ha ricevuto un mandato politico”.