Tra gli Usa e lo Stato Islamico c’è la Siria di Assad
I due campi sui quali lo Stato Islamico si muove sono l’Iraq e la Siria: il primo è terra di conquista, il secondo è la retrovia, il posto dove ritirarsi, riorganizzarsi, riarmarsi. Di fronte al rischio di vedere l’Iraq franare sotto i colpi dell’Is, poche settimane fa gli Usa hanno avviato una campagna aerea. Non è bastato. Il capo degli Stati Maggiori Riuniti americani, Martin Dempsey, lo ha detto un paio di giorni fa: “Possiamo battere lo Stato Islamico senza affrontare la parte che risiede in Siria? La risposta è no”.
La Siria torna così al centro della politica estera americana. “Il buon senso suggerisce di attaccare l’Is in Siria” ha detto ad esempio Steven Simon, ex consigliere di Obama per il Medio Oriente, “chiunque capisce bene che non puoi sconfiggere un nemico che ha oltre il confine un rifugio sicuro”.
Operare militarmente all’interno del territorio di Damasco potrebbe essere dunque decisivo. Per farlo, Washington potrebbe cercare di muoversi su più fronti a partire dalla ricerca dell’appoggio degli alleati, sia tra le potenze occidentali che tra quelle regionali come il Qatar e l’Arabia Saudita. A oggi non vengono escluse neppure operazioni militari sul suolo siriano. Il Guardian ha però scritto che all’interno dell’amministrazione Obama c’è ancora una discreta dose di incertezza sulla risposta da dare alla minaccia dello Stato Islamico. L’idea di impantanarsi in un nuovo lungo e sanguinoso conflitto mediorientale spaventa i funzionari americani.
Ma fare qualunque cosa senza mettere in mezzo anche il presidente siriano Bashar al-Assad potrebbe però essere molto difficile. Questa prospettiva mette i leader occidentali (Obama in testa) nella scomoda posizione di dover interloquire almeno in parte con un presidente col quale in molti avevano detto e ripetuto di non voler avere nulla a che fare. Assad è lo stesso presidente a cui Obama aveva chiesto di “farsi da parte” ed è lo stesso presidente che poco più di un anno fa aveva superato la linea rossa imposta da Washington utilizzando armi chimiche.
Un’estate fa si discuteva la possibilità di intervenire militarmente in Siria, dove da tre anni va avanti una guerra civile che secondo l’Onu è costata la vita a 191mila persone: gli Usa si dicevano pronti ad intervenire anche militarmente nel conflitto contro il regime di Bashar al-Assad, accusato di aver utilizzato armi chimiche contro i civili. La mobilitazione contro la guerra e il timore di far precipitare il paese ancor più nel caos furono all’origine della prudenza che spinse gli Usa a non supportare il rovesciamento del regime di Assad.
Ora la minaccia dello Stato Islamico potrebbe convincere gli Usa a intervenire in Siria. Stavolta però nel mirino finirebbe una parte di quelle milizie che da anni combatte il regime di Assad.
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