Le aziende partecipate dal pubblico, un record di inefficienza tutto italiano
Cottarelli non lascia e anzi sforna una scomoda analisi-censimento delle partecipate in Italia, con relativo spreco di soldi pubblici per le inefficienze che il loro numero elevatissimo e la loro gestione clientelare porta con sè. La politica non sembra accorgersene o voler affrontare il problema. O almeno quasi tutta la politica. Vediamo cosa emerge d questa analisi e da quella analoga del CERVED.
In realtà già dai tempi del governo Monti, nel decreto legge per la spending review, la 66/2012, si proponeva una strategia di riordino con l’obiettivo di ridurre il numero delle partecipate “da 8000 a 1000” nel giro di un triennio, di favorirne l’aggregazione e lo sfruttamento di economie di scala e, anche per questa via, di migliorarne l’efficienza, con benefici per la finanza pubblica. Come spesso accade in Italia con i cambi di governo, o semplicemente con la mutata atmosefera politica anche all’interno della stessa maggioranza, questi intenti non poterono veramente realizzarsi.
Quante sono, prima di tutto, le partecipate?
Cottarelli parla di 7726 al dicembre 2012, il Cerved PA di 14 mila totali di cui cica 8 mila partecipate dagli enti locali, e di queste un 5200 attive. La sola incertezza sul numero la dice lunga sulla possibile efficienza di un tale sistema. Per fare comprendere i termini della questione in Francia, non certo un Paese liberista, sono circa mille.
Di queste partecipate solo il 48% è a maggioranza o completa proprietà pubblica, un altro dato da tenere presente.
Di che dimensioni stiamo parlando, inoltre?
Lo schema del CERVED illustra bene come più di 2 mila o sono micro o non hanno neanche presentato un bilancio, evidentemente per gravi perdite o una situazione di difficoltà.
Del resto dobbiamo sapere che in varia misura il 97% dei comuni italiani, quindi anche quelli piccolissimi e al di sotto dei 1000 abitanti, ha partecipazioni in una di queste aziende.
Di cosa si occupano e quanti dipendenti hanno? Qui c’è molta variabilità, il grado di labour intensity varia molto in base ai settori, che del resto ricoprono quasi tutto lo scibile.
Di seguito vediamo la suddivisione secondi i dati del CERVED per settore in base all’attivo:
Qui invece in base al numero di dipendenti sul totale:
E’ evidente che in alcuni settori, come quello delle consulenze, vi sia più frammentazione e infatti ogni azienda ha in media solo 12 dipendenti, mentre quelle attive nello smaltimento rifiuti ben 102.
Tuttavia il dato più interessante è dato dall’esplorazione, con i dati del MEF, delle partecipate per numero di addetti:
Scopriamo che ben 3 mila aziende hanno zero o meno di 5 addetti!
Possiamo solo immaginare l’inefficienza di tali diseconomie di scala, soprattutto pensando che ognuna di queste deve avere un presidente e dei consiglieri di amministrazione di nomina quasi sempre politica.
Tutto ciò è il risultato dell’inadempimento delle leggi che negli utlimi anni avevano provato, come abbiamo visto, a mettere ordine nel fenomeno. Per esempio per la legge 122/2010, poi superata dalla Legge di Stabilità (L. 147/2013), i Comuni con una popolazione inferiore a 30 mila abitanti non possono costituire nuove società e devono mettere in liquidazione o cedere le partecipazioni nelle società già costituite in perdita (che non hanno prodotto utili in ognuno degli ultimi tre esercizi), con riduzione di capitale sociale o in cui gli stessi Comuni siano stati gravati dall’obbligo di ripianare le perdite.
I comuni con popolazione tra 30 e 50 mila abitanti possono invece detenere una sola partecipazione societaria. Entro il 30 settembre 2013 i comuni avrebbero dovuto cedere o lliquidare tali società, ma appunto con la legge di stabilità del 2013 si è abrogato tale norma, e così persiste la situazione descritta, in cui in più della metà delle oltre 5 mila partecipate dai comuni, le persone che siedono nel Consiglio d’Amministrazione sono più degli addetti, soprattutto a causa dell’elevato numero di società che non hanno dipendenti (2.123).
Da questo deriva che più della metà delle 27 mila cariche è assegnato proprio in società in cui la dimensione dell’organo di amministrazione supera il numero dei dipendenti.
Dove si trovano soprattutto tali società? Possiamo osservarlo dal seguente schema:
Sempre secondo il CERVED le regioni con il maggior numero di dipendenti per abitante sono la Valle d’Aosta, il Trentino Alto Adige e il Lazio, mentre forse sorprendentemente è in Basilicata, Calabria, Molise, Sicilia che il rapporto è minore, circa un decimo di quello prsente in Valle D’aosta. Probabilmente influisce in parte il modello di governance delle regioni autonome al Nord e il minor numero dei comuni al Sud.
Quello che caratterizza queste società sono in realtà le perdite, quantificate in 3 tipologie:
a) Perdite di esercizio palesi: nel 2012 le perdite lorde delle partecipate censite nella banca dati MEF (cioè la somma delle perdite delle società in perdita) sono state di circa 1.200 mln .
Si rilevano perdite in quasi tutti i settori anche se risultano particolarmente elevate, in valore assoluto, per il trasporto pubblico, l’ATAC di Roma per esempio da sola perde 160 milioni.
Altri settori con perdite elevate (superiori al 20 percento) rispetto al capitale investito sono l’informatica, i servizi amministrativi, le società di trasformazione urbana (STU), le multiutility e il turismo. Queste perdite sono ripianate esplicitamente solo in parte dagli enti controllanti. Le prime 20 società in perdita rappresentavano il 48 percento delle perdite totali
b) Perdite non palesi finanziate da contratti di servizio e trasferimenti in conto corrente e conto capitale. I contratti di servizio e gli altri trasferimenti che, sulla base di dati SIOPE, ammontavano nel 2012 a circa 16,5 miliardi per l’intero settore. Ovviamente non si tratta di una cifra recuperabile totalmente, anzi, sono servizi resi che comunque avrebbero un costo, probabilmen einferiore tuttavia.
c) Costi pagati direttamente dai cittadini: in alcuni settori, per esempio rifiuti, il costo delle inefficienze è pagato direttamente attraverso tariffe che coprono interamente i costi
Va sottolineato che delle prime 20 società con maggiori perdite, che come detto assommano il 48% dei 1,2 miliardi di perdite esplicite totali, ben 19 sono di proprietà pubblica totale o in parte, questo nonostante nel complesso delle partecipate queste siano la minoranza. Lo vediamo nel seguente schema del MEF riportato da Cottarelli:
Di fronte a questa desolante situazione, vedremo nel prossimo articolo le linee guida per una soluzione ipotizzate da Cottarelli e dalle pochissime forze politiche che ritengono prioritario un intervento in questo ambito, posto che negli scorsi mesi il governo sembrava essersi disinteressato al lavor generale dello stesso commissario alla spending review.