La frammentazione della Libia
A pochi chilometri dalle coste italiane c’è un intero paese che sta cadendo a pezzi: è la Libia, teatro da settimane di scontri tra milizie che si contendono il controllo del territorio. A oggi, la Libia è spaccata in tre. Il Parlamento eletto col voto del 25 giugno scorso è ancora a Tobruk. Tripoli è stata conquistata dai miliziani filo-islamici di Misurata. A Bengasi c’è il Califfato di Ansar al-Sharia.
Nel paese ci sono due parlamenti e due primi ministri, frutto di una profonda instabilità politica: il primo è espressione del voto del 25 giugno e si riunisce a Tobruk; l’altro è stato proclamato nelle ultime ore dalle truppe islamiste che hanno preso il controllo della capitale Tripoli e hanno nominato un loro premier: il professore universitario Omar al Hassi, filo-islamista, subito disconosciuto dal parlamento di Tobruk, “l’unico organismo legittimo in Libia”, come ha commentato il primo ministro Abdullah al-Thinni.
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Alcune tra le principali potenze mediorientali sembrano aver rotto gli indugi intervenendo pesantemente in una Libia che è sempre più terra di nessuno. Negli ultimi giorni, Egitto ed Emirati Arabi avrebbero condotto attacchi aerei contro le truppe islamiste nel tentativo (fallito) di impedire la conquista dell’aeroporto di Tripoli.
Egitto ed Emirati Arabi, entrambi alleati degli Usa, avrebbero compiuto raid aerei in Libia senza consultarsi con Washington: una mossa che ha colto di sorpresa la Casa Bianca, ha commentato un alto funzionario statunitense alla BBC. I diretti interessati hanno smentito ma gli Usa restano convinti di ciò che dicono: “Gli Emirati hanno compiuto quei raid usando basi egiziane messe a disposizione dal Cairo” ha detto al New York Times un funzionario americano.
Le principali cancellerie occidentali hanno rivolto un appello alle forze che si combattono sul territorio libico: Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Francia e Italia hanno condannato gli scontri e chiesto che si proceda sul sentiero di una transizione democratica. Ma l’ambasciatore libico al Cairo, Faid Jibril, più che parole ha chiesto azioni concrete alla comunità internazionale: “La Libia non è in grado di proteggere le proprie istituzioni, i propri aeroporti e le risorse naturali, in particolare i giacimenti di petrolio”.
Il timore dell’Occidente è quello di ritrovarsi con uno stato fallito alle porte dell’Europa: una sorta di ‘Somalia’ sulle sponde del Mediterraneo, dove un’infinità di milizie pesantemente armate si combattono alimentando quella che di fatto è una guerra civile.
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