Qatar, un’amicizia pericolosa
Il piccolo emirato circondato dal Golfo Persico è ormai una realtà con cui bisogna fare i conti, non solo sulla scena mediorientale. Un paio di dati: poco meno di due milioni di abitanti e PIL pro capite tra i più alti al mondo. Basta dire questo per tracciare, seppur freddamente, un ritratto abbastanza chiaro del paese.
La fortuna del Qatar l’hanno fatta le ricche risorse naturali (gas, petrolio) presenti nel sottosuolo e le rendite finanziarie che da esse traggono origine. A completare il quadro una visione politica innovativa nel medio-lungo periodo e ingenti investimenti in programmi di sviluppo e nuove tecnologie.
Simbolo di questo mix è sicuramente Al Jazeera. L’emittente televisiva con sede a Doha e ormai egemone nel mondo arabo è nata proprio per volontà diretta dell’emiro Hamad Bin Khalifa Al Thani. Tra il 2016 e il 2030 l’emirato prevede di spendere circa il 3% del PIL in progetti di sviluppo ecosostenibile.
Innovazioni dispendiose sono già visibili nella sanità, nel turismo e nelle infrastrutture. I mondiali di calcio che il Qatar ospiterà nel 2022 saranno il momento adatto per mostrare il volto sano di un Medio Oriente pacificato e moderno. Tuttavia il Qatar nasconde anche un altro volto, ben più oscuro.
Pochi giorni fa Sigmar Gabriel, vicecancelliere e ministro dell’Economia tedesco, intervenendo a un dibattito aveva lanciato un sospetto, poi confermato dal ministro dello Sviluppo Gerd Muller. “Chi finanzia l’Isis? Il Qatar” ha risposto Muller, intervistato dalla tv ZDF, confermando i sospetti che il collega Gabriel aveva solo suggerito.
Che dietro alla formazione jihadista di Abu Bakr Al Baghdadi si nasconda il piccolo emirato sembra però una “verità di Pulcinella”. Molti semplicemente preferiscono far finta di niente.
Al momento il Qatar contende all’Arabia Saudita il ruolo di interlocutore principale dell’Occidente. Una guerra ‘nascosta’, quella tra Doha e Riad, che si combatte nei paesi circostanti. L’emirato di Doha sarebbe il “bancomat” di formazioni quali Ansar al Sharia (Maghreb), Ansar Dine (Mali), Fratelli Musulmani (Egitto), oltre Hamas (Gaza) e Isis (Siria e Iraq).
Il Fronte Al Nusra (Siria) invece sarebbe finanziato e controllato dall’Arabia Saudita: questo spiegherebbe la presa di distanza dallo Stato Islamico (Is).
Il ‘tesoretto’ del Califfato – stimato dal governo di Baghdad in 2 miliardi di dollari – sarebbe la somma di “donazioni di centinaia di milioni di dollari da parte di facoltosi uomini d’affari provenienti dal Qatar e dal Kuwait”: su questo sono d’accordo sia David Cohen, vicesegretario Usa al Tesoro con responsabilità di Intelligence e lotta al terrorismo, sia il ‘Washington Istitute per il Vicino Oriente’.
È chiaro per gli analisti come il Qatar finanzi tutti i gruppi fondamentalisti sunniti impegnati a combattere il nemico sciita_ ovvero qualsiasi alleato, vero o presunto, dell’Iran.
A questo punto stupisce, ma forse non poi così tanto, che il Qatar a metà luglio abbia incassato 11 miliardi di dollari di commesse militari (compresi elicotteri Apache, batterie di missili Patriot, sistemi di difesa Javelin) da parte statunitense. Contestualmente Doha ha acconsentito alla richiesta di ospitare 5 leader talebani scarcerati da Guantanamo per ottenere la liberazione del soldato Bowe Bergdahl. Strano anche che il Qatar ospiti l’avveniristico comando militare Usa di Al Udeid.
Come spiega Ehud Yaari, famoso arabista israeliano, “il Qatar ha una doppia identità: da un lato ospita soldati Usa e accoglie uomini d’affari israeliani ma dall’altra finanzia i più feroci gruppi terroristi sunniti”.
A confermare tutto ciò anche semplici deduzioni dettate dai fatti. In Libia miliziani opposti ad Ansar al-Sharia hanno spesso attaccato uffici della Qatar Airways e impedito l’atterraggio dei voli della stessa compagnia. In Mali, era il maggio 2012, secessionisti di Ansar Dine insieme al Mnla avevano proclamato la “Repubblica islamica dell’Azawad”, subito riconosciuta dal Qatar, è durata un solo giorno.
In Egitto il Qatar è stato il maggiore finanziatore dei Fratelli Musulmani di Mohammed Morsi. Dopo frequenti perquisizioni nella sede cairota di Al Jazeera e l’arresto di alcuni suoi giornalisti, i leader dei Fratelli Musulmani scampati all’arresto in Egitto hanno trovato asilo a Doha.
Il 20 agosto le autorità qatarine hanno avvertito Khaled Meshaal, leader di Hamas rifugiatosi nell’Emirato, che se avesse firmato le trattative in corso con Israele per il cessate-il-fuoco nella Striscia di Gaza, sarebbe stato espulso dal paese. Tuttavia sempre il Qatar ha stanziato oltre 500 milioni di dollari in aiuti umanitari a Gaza e 1.000 dollari a ogni palestinese che ha perso la sua casa a causa dei raid israeliani.
A spiegare questo “impegno internazionale” del Qatar ci pensa l’ex ambasciatore israeliano a Il Cairo Zvi Mazel: “la tribù saudita degli Ibn Saud predica il fondamentalismo sunnita in un unico Paese, ovvero l’Arabia, invece, la tribù Al Thani del Qatar predica il fondamentalismo d’esportazione, quello dei Fratelli Musulmani che distingueva anche Osama bin Laden, e punta a rovesciare i regimi arabi esistenti”. A pesare sarebbe quindi una diversa interpretazione del Corano.
Qual è la posta in palio di questa “guerra”? La leadership nel mondo arabo sunnita (quello preferito dall’Occidente per fare affari). E il mezzo per raggiugere il premio? La destabilizzazione del Medioriente e non solo.