Perché il referendum in Scozia non è solo una questione scozzese
La Scozia che potrebbe separarsi dal Regno Unito. La Lega che in Italia sogna l’indipendenza della Padania. La Catalogna che vuole staccarsi dalla Spagna. La Corsica che vorrebbe abbandonare la Francia. Il Belgio con il suo Movimento fiammingo. In giro per l’Europa in tanti dicono di avere voglia di autonomia. Ma una nuova nazione che nasce all’interno di un’altra è materia delicata. Il referendum per l’indipendenza che si terrà in Scozia il 18 settembre assume infatti un significato che tocca da vicino Londra, Bruxelles e non solo.
Il premier David Cameron ha promesso la concessione di ulteriori competenze a Edimburgo in caso di vittoria del no al referendum: tutte proposte bollate da settimane come “Niente di nuovo” e “Vaghe promesse” dai sostenitori dell’indipendenza. Cameron sa bene che quello che succederà in Scozia cambierà e di tanto la vita della Gran Bretagna. Lo sa e non ha nascosto di essere nervoso per quello che è un evento “davvero importante”. Ha del resto molte ragioni per esserlo: la Scozia contribuisce per il 10 per cento all’economia britannica. Per Londra diminuirebbero le entrate fiscali. Diminuirebbero gli introiti della vendita del petrolio. Sarebbe più difficile far quadrare i conti. Gli scozzesi inoltre sono l’8 per cento della popolazione del Regno Unito. Ed è scozzese quasi un terzo del territorio. La separazione sancirebbe il distacco di un pezzo importante, ricco e dinamico.
I sondaggi che per la prima volta hanno messo davanti gli indipendentisti hanno sparso timore nel Regno Unito. Nelle ultime ore i big della politica britannica sono scesi in campo: anche Gordon Brown è tornato a farsi vedere per invitare gli scozzesi a votare no. Mark Carney, governatore della Banca d’Inghilterra, ha detto che in caso di indipendenza per la Scozia sarebbe impossibile continuare a usare la sterlina: un’ipotesi del genere richiederebbe lunghe procedure e accordi complessi. David Cameron ha dichiarato che “il Regno Unito è migliore se restiamo insieme”, aggiungendo che votare sì al referendum sarebbe “un salto nel buio”: le stesse parole che il leader della campagna per il no, Alistair Darling, ripete da settimane.
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Cameron è preoccupato anche perché su di lui le pressioni si fanno sempre più forti. Ha detto che non si dimetterà in caso di vittoria degli indipendentisti, ma tener fede a questo proposito potrebbe essere difficile. Questi sono giorni complicati anche per il leader del Partito Laburista Ed Miliband, che secondo molti ha la colpa di non aver saputo parlare efficacemente ai tanti scozzesi che votano a sinistra.
Preoccupata è anche la Regina Elisabetta II. E preoccupati sono pure i mercati. Nei giorni scorsi la sterlina è andata giù: gli investitori prevedono ripercussioni sulla valuta ma temono pure il terremoto che la vittoria del sì potrebbe innescare in giro per l’Europa. Royal Bank of Scotland ha già fatto sapere che se dovesse prevalere il sì trasferirà la sua sede in Inghilterra. Anche dall’altra parte del mondo si segue la vicenda scozzese con molta attenzione. La BBC ha scritto ad esempio della Cina, la quale teme che la vittoria del sì potrebbe innescare nuove pulsioni indipendentiste tra le minoranze del paese asiatico.
L’ipotesi di una Scozia indipendente pone quesiti rilevanti anche nel rapporto con l’Europa. I sostenitori del sì dicono che non cambierebbe nulla. I sostenitori del no pensano invece che la Scozia indipendente sarebbe un nuovo soggetto e dovrebbe ricominciare tutto dall’inizio, una soluzione confermata dai funzionari di Bruxelles: un nuovo stato, in quanto tale, dovrebbe fare domanda per entrare a far parte dell’Unione europea. Stessa storia per rientrare all’interno della Nato. Insomma, la nuova Scozia dovrebbe ricostruire le proprie sponde internazionali. Si tratterebbe di una situazione insolita che stabilirà un precedente e darà un bel po’ da lavorare agli esperti di diritto internazionale.
In ogni caso Edimburgo nell’Unione europea è destinato a rimanerci – o quantomeno a rientrarci. L’indipendenza della Scozia potrebbe invece contribuire all’uscita del Regno Unito dall’Ue. La maggior parte degli europeisti si trova proprio in Scozia: a sud di Edimburgo si sente nell’aria il vento dell’euroscetticismo. Se Cameron vincerà le elezioni del 2015 e manterrà la promessa di indire un referendum per la permanenza nell’Ue, i favorevoli all’uscita potrebbero prevalere.
E poi c’è anche il piccolo Galles, che segue la vicenda dei parenti scozzesi con molto interesse. L’indipendenza della Scozia potrebbe ravvivare un dibattito simile a Cardiff, dove per ora la quota di chi vorrebbe voltare le spalle a Londra si aggira intorno al 10 per cento.
I sondaggi dicono che la maggioranza dei gallesi spera che a Edimburgo vincerà il no. Un distacco della Scozia trasformerebbe il Regno Unito in una specie di “Inghilterra più due”, dove i due sarebbero appunto il piccolo Galles e l’altrettanto piccola Irlanda del Nord. Londra diventerebbe pesante a tal punto da poter decidere l’esito di qualunque partita.
Negli ultimi anni Galles e Scozia hanno condiviso la tendenza a votare per lo più in favore dei laburisti. Se Edimburgo se ne andrà per conto suo, le scelte politiche di Cardiff diventeranno marginali. E il partito laburista vedrebbe evaporare un bel mucchio di voti. Ma Londra e Cameron preferirebbero non ritrovarsi in una situazione del genere. Tra gli inglesi prevale la voglia di mantenere il Regno Unito così com’è. Scozia compresa.
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