Minoranza PD presenta 7 emendamenti e minaccia Renzi: “Referendum se dirà no a mediazione”
Non si placano le polemiche sulla riforma del lavoro proposta dal Governo Renzi. Mentre il premier è in visita negli Stati Uniti e Napolitano ha affermato “basta conservatorismi” con chiaro riferimento al dibattito in corso sul Jobs Act e la proposta di abolizione dell’articolo 18 si registrano nuovi interventi dalla cosiddetta minoranza del Partito Democratico.
Gianni Cuperlo in risposta alle parole del braccio destro di Renzi, Luca Lotti, oggi afferma: “Un partito non è una ditta né una caserma. È una comunità. E non apprezzo gli appelli alla disciplina a stagioni alterne: alcuni di quelli che ora la invocano, sul capo dello Stato hanno votato come gli garbava”.
L’ex presidente del Pd Gianni Cuperlo, intervistato dal Corriere della Sera, avverte anche il premier Matteo Renzi: “Non vale la logica del prendere o lasciare. Chi vince il Congresso ha il diritto e il dovere di dirigere un partito, non di comandare. Però, per citare una persona molto amata da Renzi, Don Milani, siamo in grado di sortirne insieme”.
Sull’articolo 18, sottolinea Cuperlo, “spero che nessuno pensi a regolamenti di conti. Non mi sento un gufo, nè un guastatore. Ma non accetto nemmeno toni ultimativi. Se è così marginale, perchè farne il fulcro? Perchè non si mette al centro il fatto che l’accesso ai servizi per il lavoro oggi è un diritto di cittadinanza? Voglio trovare una soluzione. Lo scriviamo che il reintegro non si discute in caso di discriminazione per motivi religiosi, politici e sindacali, di etnia, genere e orientamento sessuale?”, chiede Cuperlo. “Per il resto -dice- possiamo discutere della durata in cui si arrivi alla tutela, dopo il periodo di prova”. Quanto agli emendamenti che saranno presentati, annuncia, “bisogna sfoltire la giungla dei contratti. Bisogna mettere sul tavolo le risorse per estendere tutele e formazione. E poi entrare nel merito del salario minimo per chi non ha un contratto e dei nuovi ammortizzatori”.
POLETTI “DISCUSSIONE APERTA IN PD,CI PENSI RENZI” – Licenziamenti discriminatori a parte, non in discussione, “sul resto c’è una discussione del Pd che guarderà tutte le questioni che sono aperte”. Lo ha affermato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, al termine della riunione Pd in Senato, aggiungendo che “questo posso dire io, io faccio il ministro, al resto pensi il segretario del Partito democratico”.
MINORANZE PD PRESENTANO SETTE EMENDAMENTI – Sono sette gli emendamenti presentati dalle minoranze Pd alla legge delega sul lavoro. Si va dalla precisazione in merito all’articolo 18 al capitolo degli ammortizzatori. Le proposte di modifica sono firmate da un minimo di 28 senatori a un massimo 38 esponenti Pd. Tra gli emendamenti presentati, spicca quello a firma del senatore Federico Fornaro, che prevede la piena tutela dell’articolo 18 per tutti i neoassunti dopo i primi tre anni di contratto a tutele crescenti. Alfredo D’Attorre, interpellato dai cronisti, spiega poi il senso dell’iniziativa unitaria della minoranza Pd “Non chiamateci fronda delle minoranze. Non è così. Con noi stamattina c’era anche Boccia, che ha votato Renzi al congresso. Qui stiamo solo cercando di dare una mano al partito”. L’intento, spiega, è farsi promotori di una “soluzione unitaria” nel Pd sul modello tedesco, con il contratto a tutele crescenti e la previsione del reintegro in caso di licenziamento illegittimo dopo i primi tre anni. “Se Renzi però non è disponibile a nessuna mediazione, sullo sfondo resta la necessità di interpellare il nostro popolo, come extrema ratio”, aggiunge D’Attorre. Il riferimento al referendum tra gli iscritti del Pd che non è però al momento, sottolinea, all’ordine del giorno. Secondo Francesco Boccia c’è la possibilità di arrivare a un’intesa: “Sono convinto che si possa trovare un punto di sintesi”. Il modello tedesco così come tradotto negli emendamenti della minoranza Pd al Senato, sottolineano Alfredo D’Attorre e Stefano Fassina, era alla base della proposta di Matteo Renzi alle primarie. “Chiediamo – spiegano dunque i deputati di Area riformista – che ci sia un documento unitario in direzione che tenga conto di queste proposte di modifica”. “Non si può ridurre tutto a una questione di disciplina di partito – osserva D’Attorre – restiamo fedeli al mandato parlamentare che non comprendeva questa riforma, rivendichiamo perciò l’autonomia dei gruppi. “Resta forte preoccupazione”, dice Pippo Civati, “ma un atteggiamento da parte nostra assolutamente costruttivo”.
Alla minoranza Pd ha replicato duramente Maurizio Sacconi del Ncd: “Gli emendamenti presentati dalla minoranza del Pd sono irricevibili per chi voglia riformare il mercato del lavoro. Essi ipotizzano il contratto a tempo indeterminato con un assurdo periodo di prova di tre anni senza articolo 18 confermando, tra l’altro, che l’articolo 18 è modificabile ma poco. È una proposta senza senso perchè la flessibilità in un triennio è già garantita dalla liberalizzazione dei contratti a termine”.
Lavoro, Sacconi: emendamenti minoranza Pd irricevibili http://t.co/L55jgV0oEN
— Maurizio Sacconi (@MaurizioSacconi) 23 Settembre 2014
GOTOR “REINTEGRO NON È PRIVILEGIO, DEVE RIMANERE” – “Che ci sia una discriminazione è difficile da dimostrare, rimaniamo nel campo dell’astrattezza. Il diritto alla reintegra deve rimanere per tutti i licenziamenti ingiusti; non è un privilegio, ma una forma di civiltà. Posizione che fino a venti giorni fa era di tutto il Pd: ora siamo molto sorpresi che si sia voluta alzare questa bandierina ideologica”. Intervistato dalla Stampa, il senatore del Pd Miguel Gotor parla di “operazione ideologica che ha anche un contenuto propagandistico: tiene impegnati a discutere di questo mentre si prepara il vero nodo politico che è la legge di stabilità”. In merito all’articolo 18, “in un momento in cui un giovane su due è senza lavoro, il governo dovrebbe occuparsi di dare lavoro, non di toglierlo più facilmente a chi ce l’ha” dice Gotor. “Con l’ipotesi della delega, in uno stesso tavolo potrebbero lavorare persone coperte dall’articolo 18 e altre no. Questa sì che è apartheid”. Sul possibile esito del voto, “immagino che, visto che al Senato la maggioranza è tale per sei-sette voti, potrebbe rendersi necessario il concorso di Forza Italia”, osserva Gotor, che assicura: “Noi stiamo facendo di tutto per evitarlo”.
ORFINI “IL TESTO DELLA DELEGA VA MODIFICATO” – “È necessario modificare il testo della delega”, ma “nel voto non può esserci libertà di coscienza”. Lo afferma Matteo Orfini, presidente del Pd, in un’intervista a Repubblica in cui accusa i sindacati di aver “fallito”. “Il testo della delega non è sufficiente. Occorre esplicitare il disboscamento delle 40 forme contrattuali per i precari, riducendole a due: una a tempo determinato e una indeterminato a tutele crescenti. E ancora, correzioni per evitare torsioni autoritarie nei posti di lavoro”, dice Orfini, secondo cui sull’articolo 18 “la delega è ambigua, bisogna dettagliarla. Possiamo discutere sulla progressività per il raggiungimento delle piene tutele, ma il reintegro per i licenziamenti senza giusta causa deve essere mantenuto”. In merito alla libertà di coscienza, “questa è politica, non certo un tema di coscienza”, rileva Orfini. “Abbiamo il dovere di trovare una sintesi dopo una discussione comune. Questo comporta che anche Renzi ascolti. La discussione è iniziata molto male, con scomuniche reciproche. Meglio abbassare i toni e cercare un accordo”. Sui sindacati, “se milioni di precari non si sentono rappresentati, non è colpa mia o di Renzi: il sindacato – osserva Orfini – dovrebbe rappresentare tutto il mondo del lavoro e non solo una parte, altrimenti è il fallimento della sua funzione storica”.
BRUNETTA,”COLLE PRENDA ATTO NOSTRO SÌ A RIFORMA” – “Quando sento Renzi sostenere quelle cose lì, io dico: bene, ci sto, proviamoci, è anche la nostra riforma del lavoro. Pronti a votarla, perfino con la fiducia. Ma attenzione: senza compromessi, senza azzardo morale. Dopo lo scenario cambia però, al Quirinale dovranno prenderne atto”. A dirlo il capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta, in un’intervista a Repubblica in cui spiega che Fi non vuole entrare nella maggioranza: “Quella sarebbe una conseguenza naturale, obbligata, un dato di fatto, se saremo determinanti”. “Conosco quelle resistenze della sinistra sindacale, conservatrice, comunista. Da vecchio socialista ho ancora ben chiaro – racconta Brunetta – cosa accadde nell’84: con Giuliano Amato sono stato tra gli estensori del decreto di San Valentino sulla scala mobile. La battaglia si concluse col referendum e la sconfitta di quella sinistra. L’auspicio è che accada la stessa cosa”. Sulla possibilità che Fi sostenga anche la legge di stabilità del governo, “finora Renzi ha negato che una manovra sia necessaria. Nega tutto, come i debiti ancora da pagare alla pubblica amministrazione”, afferma Brunetta. “Se la legge di stabilità risponderà ad alcuni requisiti, noi per il bene del Paese non avremmo difficoltà. Da inguaribile ottimista mi fido di lui. Se poi prevarrà il richiamo della foresta, lo scopriremo a giorni”.