Jobs Act, Renzi contrattacca: “In pochi giorni facciamo la riforma”. E rilancia Tfr in busta paga

Pubblicato il 30 Settembre 2014 alle 10:45 Autore: Emanuele Vena
matteo renzi

Nessuna paura dei franchi tiratori. E’ ottimista il premier Matteo Renzi, all’indomani della vittoriosa battaglia in direzione PD sulla riforma del lavoro. E a chi gli chiede se sullo Jobs Act si aspetta imboscate al Senato, replica: “No, non credo anche perchè ieri c’è stata una discussione seria, lunga, al termine della quale il partito si è espresso. Ora si tratta di definire il documento nelle varie fattispecie”.

PREMIER BATTAGLIERO – “Abbiamo votato, ora la riforma del lavoro è questione di giorni, non più di anni come in passato”, dice in un’intervista a Ballarò. Dura la stoccata indirizzata al suo grande avversario interno, Massimo D’Alema: “Ogni volta che parla, guadagno un punto”. E dura anche la replica alla CGIL: “Quando sarà in piazza, mi pare abbiano detto il 25 ottobre, noi saremo a fare la Leopolda. Ci hanno anche risolto il problema di chi fa la manifestazione contro”. Renzi torna a parlare anche di Tfr da mettere tutti i mesi in busta paga per i lavoratori: “Ne discuteremo nei prossimi giorni. Ma anzichè tenere i soldi da parte alla fine del lavoro te li do tutti i mesi. Significa che, per uno che guadagna 1.300 euro, un altro centinaio di euro al mese che uniti agli 80 euro inizia a fare una bella dote”, circa 180 euro. 

I SINDACATI – Le tre principali sigle sindacali – che nel frattempo hanno deciso di congelare eventuali manifestazioni unitarie di protesta – accolgono positivamente l’apertura del premier al dibattito con le parti sociali. La UIL si mostra disponibile al dialogo, a patto di non toccare “protezioni e tutele per quei lavoratori che già ce l’hanno e non prevedere tutele crescenti per coloro che non ce l’hanno”, altrimenti sarà “sciopero generale”. Apertura sullo Jobs Act anche dalla CISL, che con il segretario uscente Raffaele Bonanni si dichiara pronta a discutere “anche dell’articolo 18 se ci sarà una svolta sulla precarietà e l’abolizione di tutte le forme di flessibilità selvaggia come false partite Iva, co.co.co della Pa, co.co.pro e associati in partecipazione”. Disponibile anche la CGIL che, pur definendo l’intervento di Renzi in direzione “ancora vago, indefinito e contraddittorio, a partire dalle affermazioni sull’articolo 18”, tramite un tweet del segretario generale Susanna Camusso apprezza l’apertura di Renzi al confronto con i sindacati.

La stessa segretaria della Cgil però avverte che il consenso dei cittadini verso il sindacato sta aumentando: “Stiamo lavorando per preparare la manifestazione del 25 ottobre e abbiamo attorno a noi molto consenso” .

LANDINI DURO – Particolarmente dura è invece la reazione di Maurizio Landini, segretario Fiom, che in un’intervista a ‘Repubblica’ chiede a Renzi “un confronto pubblico, scelga lui dove e come, purchè sia pubblico. È ora di far un’operazione verità, di dire le cose come stanno, a partire dall’articolo 18”. Il sindacalista vede il Jobs Act come un cedimento alle richieste dei poteri forti, bocciando anche l’apertura di Renzi al reintegro in caso di licenziamento disciplinare: “Non prendiamoci in giro, nel discorso di Renzi, per quanto riguarda l’articolo 18 non c’è nessuna novità. Siamo di fronte ad un ulteriore spacchettamento della norma dopo quello già operato dalla Fornero”. E a Renzi propone riforme alternative all’articolo 18: “faccia un decreto sul rientro dei capitali, sul riciclaggio, sul falso in bilancio, sugli appalti. Il taglio dell’articolo 18 interessa solo alla Confindustria e non serve”.

 

LE IMPRESE – Da Rete Imprese arriva un altolà all’apertura di Renzi sull’inclusione del TFR in busta paga. La bocciatura è senza mezzi termini: “In questa fase di perduranti difficoltà per il nostro sistema produttivo, è impensabile che le piccole imprese possano sostenere ulteriori sforzi finanziari, come quello di anticipare mensilmente parte del Tfr ai dipendenti”. Giorgio Merletti, presidente di Rete Imprese Italia e di Confartigianato, snocciola dati: “Dopo aver subito, soltanto nell’ultimo anno, una contrazione del credito erogato dal sistema bancario del 5,2%, pari a oltre 8 miliardi di euro, ora alle piccole imprese verrebbe chiesto di erogare diversi miliardi in anticipazione del Tfr. Siamo di fronte alla ‘misura perfetta’, se si vuol dare una mano a far chiudere decine di migliaia di piccole imprese che stanno resistendo stremate da 6 anni di crisi e difendono in tal modo migliaia di posti di lavoro”. E poi aggiunge: “Per i lavoratori il Tfr è salario differito, per le imprese un debito a lunga scadenza. Non si possono chiamare le imprese ad indebitarsi per sostenere i consumi dei propri dipendenti”. Inoltre “il trasferimento di tutto il Tfr, o di una parte di esso, nelle buste paga significa azzerare la possibilità, per moltissimi lavoratori, di costruire una previdenza integrativa dignitosa”.

A SINISTRA – Arrivano le repliche anche a sinistra del PD. E se Fabio Mussi, intervenendo ad ‘Agorà’, si dichiara “felice di non far parte del PD, particolarmente attivo è Giorgio Airaudo (SeL), che su twitter sfida Renzi “ad aggiungere diritti riducendo i contratti precari, estendendo la Cig e istituendo reddito di cittadinanza ed articolo 18 per tutti”. Poi l’accusa a Renzi e al PD, definito soggetto che passa da “partito del lavoro a partito che da certezza agli imprenditori sul costo dei licenziamenti”. Per Airaudo ciò che serve per ripartire è “un New Deal, un piano per il lavoro e investimenti pubblici e privati”. E la minoranza Pd non sembra intenzionata a ritirare i suoi emendamenti. “Gli emendamenti al Jobs act presentati dalle minoranze Pd restano e nessuno ci ha chiesto di ritrarli. Ora inizia il confronto parlamentare nel merito” dichiarano i Dem Maria Cecilia Guerra e Federico Fornaro, tra i firmatari delle proposte di modifica

L'autore: Emanuele Vena

Lucano, classe ’84, laureato in Relazioni Internazionali presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Bologna e specializzato in Politica Internazionale e Diplomazia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Padova. Appassionato di storia, politica e giornalismo, trascorre il tempo libero percuotendo amabilmente la sua batteria. Collabora con il Termometro Politico dal 2013. Durante il 2015 è stato anche redattore di politica estera presso IBTimes Italia. Su Twitter è @EmanueleVena
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