Siria e Iraq: i siti archeologici usati per finanziare la guerra
Stretti tra la morsa dell’Isis e delle truppe più o meno regolari, tra curdi e mercenari, in Siria e in Iraq migliaia di siti archeologici stanno diventando strumento per fare cassa, finanziando la guerra di quasi tutte le forze in campo.
L’agenzia Reuters ha scritto che in Iraq circa 4.500 siti di interesse archeologico, alcuni Patrimono dell’umanità dell’Unesco, sono nelle mani delle truppe dell’Isis. Vengono saccheggiati, svuotati, gli oggetti rivenduti sul mercato nero. Difficile, quasi impossibile fare delle stime precise, ma moltissimi luoghi dell’antichità rischiano di scomparire o subire danni irreparabili.
Secondo un rapporto dell’intelligence irachena diffuso questa estate, è probabile che l’Isis abbia guadagnato qualcosa come 36 milioni di dollari attraverso il contrabbando di reperti d’arte antica. Tra gli oggetti che finiscono nel cono d’ombra del mercato nero ne figurano molti vecchi anche migliaia di anni: statue, monete, vasi, tavolette con alcuni dei primi esempi di scrittura al mondo. Non si tratta di una pratica inusuale: Al Qaeda fece lo stesso, saccheggiando e vendendo reperti archeologici per finanziare le proprie operazioni.
Ma non è solo l’Isis a guadagnare denaro attraverso il contrabbando di opere d’arte antica. Basti pensare alle immagini arrivate da Palmira, sito archeologico siriano protetto dall’Unesco: statue antiche ammassate su pick-up, prese e portate via da uomini che combattono per il regime di Bashar al-Assad.
Il regime di Assad vende manufatti per finanziare la propria campagna contro i ribelli, ha scritto il Time. Ma non è il solo a farlo. Il Washington Post ha raccontato lo scorso inverno cosa succede dall’altra parte della barricata, tra i gruppi che combattono il regime: stesse pratiche, il contrabbando di oggetti archeologici è diventato un modo veloce per fare soldi. I siti archeologici passano di mano seguendo le ondate della guerra: avanza il regime, avanza l’Isis, avanzano i ribelli siriani e ognuno trae profitto da ciò che trova lungo la strada.
Ma se c’è chi vende, significa che da qualche parte c’è qualcuno che compra. Il New Yorker ha scritto che alcuni manufatti portati via dai siti archeologici siriani e iracheni sono arrivati nelle città turche lungo il confine. È lì che vengono venduti. Un’altra strada passa per i paesi del Golfo Persico, dove gli oggetti trafugati illegalmente vengono associati a documenti che ne falsificano la provenienza.
Non ci sono prove certe, ma alcuni numeri fanno pensare che moltissimi reperti finiscano per essere acquistati da collezionisti occidentali. Come scritto dalla Reuters, si stima che tra il 2011 e il 2013 negli Stati Uniti ci sia stata una vera e propria impennata del flusso di oggetti d’arte antica provenienti dalla regione: 145 per cento in più per i reperti di provenienza siriana e un più 61 per cento per quello che arrivano dall’Iraq.
Immagine in evidenza: photo by Varun Shiv Kapur – CC BY 2.0