Verdini, nuovo rinvio a giudizio: trema il patto del Nazareno
E’ l’uomo del giorno, Denis Verdini. Attorno a lui ruota una parte cospicua della “strategia” politica del governo Renzi I. Ieri il gup di Roma, Paola Della Monica, ha deciso di rinviare a giudizio lo sherpa berlusconiano con l’accusa di corruzione. L’inchiesta riguarda la famosa P3, un’associazione ideata, tra gli altri, da Flavio Carboni per compiere “una serie determinata di delitti, di corruzione, di abuso d’ufficio e di illecito finanziamento”.
Già il 15 luglio scorso Verdini era stato rinviato a giudizio per il crack del Credito cooperativo fiorentino con l’accusa di associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, appropriazione indebita e truffa ai danni dello Stato. La questione, oltre ad essere piuttosto “sanguinosa” dal punto di vista giudiziario, diventa alquanto imbarazzante per gli assetti politici. Eppure Renzi, prima di mettersi al soldo di Berlusconi tramite Verdini, non era a conoscenza delle grane giudiziarie di “Denis”?
“VIA DAL NAZARENO” – Massimo Mucchetti, esponente di peso del Pd e voce spesso non allineata della ditta renziana, parla all’Huffington Post. Rivendica di essere da sempre “un garantista” (che c’entra con l’opportunità politica?) e poi pungola il premier: “a questo punto, si apre nel caso di Verdini non già la questione della sua permanenza a Palazzo Madama, che non è in discussione” (ci mancherebbe, sic!) ma, continua, “l’opportunità che il principale negoziatore e testimone del patto del Nazareno sia una persona che ha condotto al fallimento una banca di credito cooperativo”. E perché? “E’ sorprendente che (Renzi,ndr) accetti di negoziare con un personaggio il quale nel migliore dei casi ha tradito la fiducia dei risparmiatori toscani a causa della propria incapacità o di altro”.
Il messaggio di Mucchetti è chiaro: Verdini ha “condotto al fallimento una banca” e ha “tradito la fiducia dei risparmiatori”. Ergo: non può più essere l’interlocutore principale col premier per decidere sul programma di riforme (o di governo?). Risulta alquanto difficile comprendere la prima parte dell’argomentazione di Mucchetti. Il vicedirettore del Corsera dice che la “permanenza” di Verdini “a Palazzo Madama non è in discussione”. In un paese normale, se un esponente politico viene rinviato a giudizio perché ha “condotto al fallimento una banca” e “tradito la fiducia dei risparmiatori”, non solo non può più essere un “interlocutore” del premier, ma chiede scusa, si dimette e si affida alla giustizia. E se non lo fa, lo fanno gli altri per lui.
Perciò oltre ad estrometterlo dal Nazareno perché non porre la questione delle dimissioni da senatore? Forse perché Renzi non se lo può permettere avendo nominato quattro sottosegretari e un ministro indagati (Barracciu, Del Basso De Caro, De Filippo, Bubbico, Lupi)? Non è questione di “garantismo” (a targhe alterne) o “giustizialismo”, ma di buon senso, di buona politica. E di dignità rispetto agli elettori.
DENIS E IL PATTO – Da mesi il Patto del Nazareno è passato alle cronache come la pietra angolare del governo Renzi. Senza l’assenso dei contraenti, nulla si può fare. Ma nei giorni scorsi proprio il Corsera aveva rivelato di un possibile “addio” di Verdini a Forza Italia. E quindi al Nazareno. “Io lascio” avrebbe detto ai suoi lo sherpa fiorentino, per poi ripensarci grazie alla mediazione di Berlusconi. Ma, proprio l’ex Cavaliere, starebbe pensando alla sua sostituzione nel dialogo col premier. Si parla di Paolo Romani, storico avversario di Verdini, ma anche di Giovanni Toti, ormai diventato “delfino” a tutti gli effetti. Sono solo voci. Ma qualcosa si muove, e per il governo potrebbe essere un terremoto.