Jobs Act, arriva il sì della Camera ma il Pd si spacca
La Camera dice sì al Jobs Act. A favore hanno votato 316 deputati (su una maggioranza di 334), mentre i no sono stati 6 (tutti civatiani). Le opposizioni non hanno partecipato al voto, così come una trentina di deputati del Pd appartenenti alla minoranza, i quali, pochi minuti prima della votazione finale, hanno firmato un documento per spiegare le ragioni del dissenso. Il testo, che ora tornerà al Senato per l’approvazione definitiva, è frutto della mediazione raggiunta dal Pd la scorsa settimana.
Durante l’esame in commissione è stata fatta una notevole modifica al testo iniziale. Secondo il testo licenziato dalla commissione, infatti, sarà esclusa la possibilità di reintegro per motivi economici per i neo-assunti, sostituita da un risarcimento sicuro e crescente in base all’anzianità di servizio, mentre sarà conservato il reintegro in caso di licenziamento nullo, per motivi discriminatori o disciplinari ingiustificati.
All’interno della minoranza, le posizioni si sono diversificate: Civati e i suoi deputati hanno detto no, mentre l’area cuperliana ha deciso di non partecipare al voto. In precedenza proprio Cuperlo aveva piegato come “noi non ci sentiamo di esprimere un voto favorevole su Jobs act”. Secondo l’ex candidato alla segreteria, infatti, il problema “non è come licenziare, ma come assumere”. Ai tre deputati fa da contraltare il presidente del partito, Matteo Orfini, che invoca l’unità del gruppo parlamentare: “Abbiamo raggiunto una larghissima unità sul testo, spero che per rispetto della discussione fatta, dei cambiamenti apportati, del lavoro di ascolto reciproco e della nostra comunità, si voglia fare tutti un ultimo sforzo in Aula”.
I componenti di Area Riformista (bersaniani che hanno come riferimento il capogruppo Roberto Speranza) hanno annunciato il voto favorevole per disciplina di partito.