L’Italia e le missioni militari del 2015: Afghanistan, Iraq e Libia
Il 2014 è stato un anno particolarmente impegnativo sotto diversi punti di vista, per l’Italia come per diversi altri paesi. Nell’arco degli ultimi dodici mesi il mondo ha avuto a che fare con il sorgere di rilevanti crisi internazionali e con il loro progressivo acuirsi: il luogo di tensione più vicino all’Europa è l’Ucraina, mentre nel frattempo in Medio Oriente lo Stato Islamico ha contribuito a diffondere terrore e destabilizzare paesi già ampiamente problematici come l’Iraq e la Siria. In Afghanistan invece il processo di costruzione istituzionale che dura ormai da quasi quindici anni dovrebbe far vedere i propri frutti, ma non si ha certezza di che piega prenderanno le cose ora che il presidente Hamid Karzai terminerà il suo ultimo mandato presidenziale. In Libia invece sono nate nuove tensioni tra miliziani filo-islamici e forze governative che hanno rigettato questo paese nel caos.
In questo difficile contesto l’Italia ha rinnovato anche per il 2015 il suo impegno nel partecipare ad alcune missioni internazionali e a contribuire con le proprie risorse per mantenere un ruolo attivo nella gestione di importanti crisi. Il ministro della Difesa Roberta Pinotti in un’audizione di fronte alle commissioni parlamentari riunite di Esteri e Difesa ha fatto un resoconto del futuro impegno del nostro paese per combattere lo Stato Islamico. Come annunciato dal ministro, già nei prossimi giorni sarà inviato un contingente di militari italiani in Iraq e in particolare nella regione curda con il compito di addestrare le forze locali: nel mese di gennaio partirà infatti «un’ulteriore aliquota di nostri militari fino a raggiungere 280 unità complessive, parte dei quali costituiti da forze speciali», ha spiegato il ministro aggiungendo che, riguardo all’impegno nazionale in Iraq, «stiamo implementando le misure previste, in particolare, oltre ai diversi lotti di munizioni di tipo ex-sovietico, provenienti dal carico sequestrato nel 1994, sono stati consegnati anche i sistemi contro-carro tipo “Folgore”, già in uso nell’Esercito Italiano». Tali forze speciali assolveranno perciò l’importante compito di “military advisor” al fianco di quelle statunitensi, britanniche e australiane che sono già attive nelle zone di Baji, Mosul e Ramadi. La precisa composizione del team non è ancora chiara, ma probabilmente saranno impiegati uomini della Task Force 45, appena rientrati dall’Afghanistan. Pinotti si è dichiarata ottimista ed ha ricordato gli ultimi successi della coalizione nel corso dell’audizione: «Nelle ultime settimane ci sono stati i primi risultati positivi nelle operazioni contro l’Isis, di cui è stata arrestata l’espansione territoriale. Le forze irachene hanno riconquistato alcune località strategiche da un punto di vista energetico».
Ma le novità riguardano anche l’Afghanistan: «Prevediamo con il nuovo anno di transitare dalla missione Isaf alla missione Resolute Support impiegando all’inizio circa 750 militari», ha annunciato il ministro della Difesa parlando della permanenza dei militari italiani nel paese asiatico. « Il numero dei nostri militari andrà a diminuire nelle settimane successive senza scendere sotto il livello considerato tecnicamente necessario per la sicurezza della missione», ha poi aggiunto Pinotti, chiarendo che alla fine del prossimo anno saranno comunque circa 70 i soldati che rimarranno in Afghanistan e che saranno concentrati nella zona di Kabul. I soldati avranno sostanzialmente compiti di addestramento e non saranno coinvolti in operazioni di combattimento, mentre garantiranno – insieme ad un contingente spagnolo – la sicurezza della base di Herat. Nella regione ovest del paese , sempre secondo quanto riferito dal ministro Pinotti, opereranno insieme ai reparti italiani anche quelli di Albania, Lituania e Ucraina. Alla fine nel paese la presenza militare sarà intorno alle 500 unità, per un impegno economico di 160 milioni di euro.
Per quanto riguarda la Libia un altro importante annuncio è arrivato – nella medesima audizione – dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, il quale ha affermato che l’Italia non si tirerebbe indietro se fosse necessario un intervento per la stabilizzazione del paese. Se infatti «ci fosse una cornice Onu sarebbe irresponsabile per un paese come l’Italia non partecipare a missioni di monitoraggio e peace-keeping in Libia», ha dichiarato il ministro di fronte alle commissioni parlamentari di Esteri e Difesa, garantendo che proprio in questi giorni si stia lavorando per «una minima base di riconciliazione nazionale».