Lavoro: nell’occupazione delle donne l’Italia ancora pecora nera in Europa
Abbiamo appena visto i dati relativi all’occupazione in Italia nel 2014, come l’occupazione sia stata in flebile ripresa, e come questa ripresa si stata maggiore tra le donne, tuttavia è ancora pochissimo rispetto alle enormi discrepanze tra lavoro maschile e femminile presenti in Italia.
Dove sono queste differenze? Innanzitutto banalmente nel numero di persone che lavorano tra i diversi sessi. Il seguente prospetto dell’ISTAT sul 2014 illustra chiaramente le enormi differenze tra occupazione maschile e femminile nel campo del lavoro:
Per una media nazionale del 56%, tra le più basse in Europa, vi è in realtà una distanza tra i sessi del 17,6%, con meno della metà delle donne che è occupata, al 47,2%.
Lavoro femminile: record di gap tra i sessi e tra le regioni
Si tratta come vediamo dal seguente prospetto EUROSTAT di uno dei gap maggiori in Europa, superati solo da Malta (dove l’occupazione generale e soprattutto quella maschile sono molto più alti) e da un Paese musulmano come la Turchia.
E’ però probabilmente più scandaloso un altro tipo di gap: quello geografico tra le regioni. Come vediamo sopra sembra stiamo parlando di Paesi diversi, e non potrebbe che essere così, se guardiamo ai due poli opposti, il Sud con l’occupazione femminile al 30,6%, ovvero in cui 7 donne su 10 non lavorano (o lo fanno in nero).
Si tratta certamente di una differenza abissale nell’economia che prescinde anche dalle differenze di sesso, se al Nord sono di più le donne che lavorano, il 56,9% rispetto agli uomini al Sud, il 53,7%. Tuttavia al Sud aumenta anche il gap tra uomini e donne che lavorano, se come abbiamo visto la differenza nazionale è il 17,6%, al Sud è del 23,1%, contro il 13,2% del Centro Italia per esempio.
E’ senz’altro vero che durante la crisi economica le donne, dal lato lavoro, come abbiamo visto, hanno sofferto meno degli uomini, e i seguenti grafici Eurostat lo dimostrano:
Come si vede a dispetto del calo dell’occupazione totale (qui intesa 20-64 anni), quella femminile resiste, e non perde i progressi fatti negli anni precedenti la crisi. Tuttavia vi è poco da festeggiare, trattandosi di livelli talmente bassi che non è difficile immaginare che tra le poche donne lavoratrici fossero minori quelle categorie senza specializzazione o di settori più fragili, si pensi all’edilizia, che più hanno sofferto la crisi occupazionale.
Del resto soprattutto laddove la crisi ha picchiato più forte, al Sud, le donne che più potevano soffrirla erano già disoccupate o inattive o lavoravano in nero, viste le cifre infime del mercato del lavoro femminile in quelle regioni.
Da non dimenticare poi nella resistenza del tasso di occupazione femminile è anche il fatto che le donne sono quelle che più hanno risentito dell’aumento dell’età pensionabile e che prima godevano del pensionamento anticipato mentre ora rimangono occupate.
Questo è confermato anche dai dati dello SVIMEZ su ciò che è accaduto al Sud nel mondo del lavoro con la crisi economica per i giovani (15-34 anni). Anche se in misura minore che tra i maschi che partivano da livelli maggiori, anche tra le giovani donne vi è stato un crollo del tasso di occupazione. Del 10% al Centro Nord, e del 4,6% al Sud, che non appare meno grave tuttavia, visto che si partiva da livelli più che dimezzati. Nel 2013 al culmine della crisi economica, solo il 21,6% delle donne 15-34enni al Sud lavorava, contro una media europea del 50,9%. Un gap del 16,2%, rispetto al 11,2% del 2008.
Lavoro e occupazione femminile: il gap nei salari
Lo stesso gap presente a livello di occupazione tra uomini e donne non appare esserci a livello di salari.
Di seguito vediamo la differenza percentuale, che in Italia risulta essere tra le minori, dopo Malta.
Un buon segno? Non proprio, visto che sembrano essere proprio i Paesi a minore occupazione femminile quelli con il divario di genere minore nei salari. E la ragione è abbastanza intuibile: laddove a lavorare sono in poche vi è una sorta di auto-selezione, evidentemente le donne meno specializzate ed istruite, quelle che avrebbero i salari minori, tendono direttamente a non occuparsi e a rimanere inattive.
E per il futuro? Da alcuni punti di vista vi sono segnali positivi per le donne nel mondo del lavoro.
I dati dell’OCSE relativi ai test PISA sottolineano come le donne siano in generale più “brave” a scuola. Lo vediamo negli ultimi dati resi pubblici che ci dicono che le donne tendono a essere meno tra i “low achievers”, ovvero tra coloro che ottengono i risultati scolastici peggiori, in cui gli uomini sono di più. E’ così anche nel nostro Paese.
Tuttavia permane un gap a favore degli uomini quasi in tutti Paesi in matematica, che è uno dei campi chiavi legati all’ottenimento di una posizione migliore poi nel mondo del lavoro.
Come si vede tra chi ha risultati migliori in matematica i maschi superano le donne del 30%. Su questo, sulla preenza delle donne nelle professioni più tecniche, in primis l’informatica, fondamentali per il lavoro del futuro, vi è ancora molta strada da fare.
Altrove va meglio, come sottolinea la Stampa crescono le donne dirigenti, +18% fino ad arrivare al 15% del totale (ma in Europa sono il 25%) e ancora di più le donne quadro, +25%, ora sono il 28% dei quadri in Italia nelle aziende private. In particolare questo avviene nel settore dell’assistenza, dove vi è ormai parità numerica tra i sessi anche a livelli alti. E’ una rivoluzione quella che sta avvenendo per esempio nella sanità, a partire dagli studi universitari, in cui le donne sono maggioranza, per finire tra le corsie degli ospedali.
Vedremo se potrà accadere la stessa cosa anche negli open space delle aziende.