Crescita in Est Europa a 25 anni dalla caduta del Muro: quali lezioni per l’Italia?
Nei mesi corsi l’Europa orientale ha celebrato un anniversario molto importante: i 25 anni dalla caduta del Muro di Berlino, e pochi mesi prima almeno 8 Paesi avevano compiuto 10 anni di acceso all’Unione Europea.
Il bilancio da fare è senz’altro positivo: da territori con problemi spesso di sussistenza, carenze alimentari, degrado sociale, redditi bassissimi ed emigrazione, alcuni di loro sono riusciti a raggiungere e superare, come reddito pro capite, alcuni Paesi dell’Europa Occidentale, e a diventare destinazione di immigrazione, il tutto grazie a una crescita superiore.
L’obiettivo primario era un recupero dal crollo del reddito in seguito alla fine del comunismo e allo smantellamento dell’apparato statale e delle protezioni di quell’epoca, e poi una convergenza verso i livelli dell’Ovest, sul modello di quella per esempio intrapresa dalla Spagna dopo l’accesso all’UE nel 1986.
Crescita ed Est Europa, una storia di successo
A quanto pare almeno per l’Europa Orientale l’Unione Europea è stata una storia di successo, la convergenza c’è stata, come vediamo dal grafico del blog greco Crisis Observatory:
Naturalmente l’Est Europa non è una realtà unica, al suo interno le differenze sono enormi e lo erano già in partenza, sotto il comunismo, tuttavia vediamo come in tutti i casi dal 1992 c’è stata una crescita poderosa che ha fatto recuperare tra i 15 e i 30 punti rispetto al livello della media UE (che in questo grafico rappresenta 100), e in particolare, come era nelle intenzioni in fondo dell’operazione di convergenza, sono stati i Paesi più poveri tra questi, come Slovacchia e Polonia, quelli che sono cresciuti maggiormente, si veda la Slovacchia che ha quasi raggiunto la Repubblica Ceca.
In questa mappa da Citylab si vede in maniera ancora più evidente la media della crescita tra il 2003 e il 2013 in Paesi e città dell’Europa:
A fianco della recessione di Italia, Spagna e Grecia, e della lieve crescita dell’Europa Occidentale, quella orientale si distingue per la crescita sostenute, in particolare in Lituania, Lettonia, Slovacchia, Bulgaria e in molte città che vengono indicate con un progresso del reddito anche del 4-5-6% come Sofia, Varsavia, Kaunas, Danzica.
Proprio alcuni Paesi tra i più prosperi tra questi come appunto Repubblica Ceca o Slovenia in realtà con la crisi economica del 2009, come si vede nel grafico precedente hanno cominciato a seguire traiettorie più simili a quelle di Paesi dell’Europa occidentale e segnato il passo con la crescita. Più che un segnale di fallimento questo in realtà potrebbe significare il passaggio da Paese emergente a Paese maturo. Il blog Crisis Observatory fa notare come alcuni di questi in realtà abbiano semplicemente recuperato i livelli di reddito dell’epoca del comunismo, ma in realtà i calcoli dell’epoca erano lungi dall’essere accurati, sopravvalutavano molto e infatti il crollo del PIL successivo alla fine dei regimi fu probabilmente un aggiustamento verso statistiche più credibili.
Crescita ed Est Europa: il segreto è l’afflusso di capitali stranieri
Uno dei principali motivi di successo di queste economie è stato il massiccio afflusso di capitali, in quasi tutti gli anni, anche durante la recessione europea, come vediamo di seguito da dati FMI:
Il risultato è che oggi in molti Paesi dell’Est si supera il 40% del valore aggiunto prodotto in mano a imprese straniere, vediamo il caso emblematico di Slovacchia e Repubblica Ceca, da dati Unicredit-Eurostat:
Come si vede, ciò accade soprattutto grazie al settore automotive, ma anche chimica, TLC, al settore chimico, e si tratta di aziende in primis tedesche, ma anche olandesi, austriache, e in misura minore italiane e francesi.
Ma basti pensare anche per esempio al caso Unicredit, che ha massicciamente investito proprio a Est, così come le assicurazione Generali
Quello che colpisce, e che dovrebbe essere significativo per l’Italia, è che proprio i Paesi con maggiore presenza di aziende straniere sono quelli che sappiamo hanno avuto la crescita maggiore del PIL negli ultimi 10 anni, appunto, Slovacchia, Polonia, Lettonia, ma anche l’Irlanda a parte gli anni di crisi, e poi il Regno Unito e il Belgio.
Guarda caso quelli più stagnanti come Italia, Francia, Cipro, Portogallo, sono quelli con minore presenza straniera.
Sarebbe da ricordare nei momenti di polemica in caso di investimento di realtà straniere in Italia, magari tramite acquisizioni di imprese italiane.
Non è stato ancora recepito a livello sociale e politico quello che all’Est Europa è chiaro, che sono gli investimenti e le acquisizioni dall’estero che sono una delle strade, e forse la strada principale per la crescita del reddito.
Attualmente c’è un allarme sulla fine della convergenza perlomeno dei Paesi più ricchi come Slovenia, Repubblica Ceca, con la Germania, visto che negli ultimi anni, come vediamo di seguito, il PIL relativo rispetto alla Germania è calato e anzi converge verso il 60%.
In realtà questo appare legato all’eccezionale crescita che un Paese maturo come la Germania è riuscito ad avere negli ultimi anni, se confrontassimo le performances di questi Paesi nei confronti di Italia o Francia, il catching up apparirebbe in pieno svolgimento.
Un segnale infine molto positivo per l’Est e l’Europa tutta da tenere a mente ce che può riassumere quanto accaduto negli ultimi 25 anni, è l’immunità al contagio dalla crisi russa, cosa non scontata in passato, che si è verificata tra i Paesi dell’Est, non più legati al destino del potente vicino, ma piuttosto a quello degli altri Paesi della UE. Lo vediamo nei livelli dei CDS, Credit Default Swap di Ungheria, Lettonia, Polonia, Estonia, come segnalati da Moody’s, confrontati a quelli in salita della Russia