Def: il piano del governo per frenare l’IVA Renzi: “Nel 2015 ridurremo le tasse”
“Oggi abbiamo avviato l’esame preliminare del Def che sarà approvato venerdì”. Così il premier Matteo Renzi al termine del Cdm. “Non ci sono tagli e non c’è aumento delle tasse. Da quando siamo al governo l’operazione costante è di riduzione delle tasse. Nel 2015 riduciamo le tasse per 18 miliardi più i 3 di clausole che eliminiamo”. “Le tasse non aumenteranno – prosegue Renzi – un’eventuale riduzione ci sarà nella legge di stabilità per il 2016, se saremo in condizione”.
Ma gli enti pubblici dovranno stringere la cinghia: “Non ci saranno tagli alle prestazioni per i cittadini ma c’è bisogno che la macchina pubblica dimagrisca un po’ e se i sacrifici li fanno i politici o salta qualche poltrona nei cda, male non fa”. “La spending review varrà lo 0,6% del Pil, più o meno 10 miliardi, anche se pensiamo ci sia un margine migliore, uno spazio per tagliare per 20 miliardi”, aggiunge Renzi.
Non manca un’autocritica: “Sul fisco il processo di cambiamento è faticoso, non sarà scoppiettante”. La crescita del Pil nel 2015 “sarà dello 0,7%”, afferma Renzi, mentre sarà “dell’1,4% nel 2016 e dell’1,5% nel 2017”, aggiunge il ministro dell’Economia Padoan. “Le clausole di salvaguardia saranno disinnescate in parte con la spending review, in parte automaticamente con benefici della crescita”, ha spiegato poi il responsabile del Tesoro.
Le reazioni
Girandola di reazioni contrastanti alla conferenza stampa del premier Renzi. Da segnalare l’intervento di Stefano Fassina, della minoranza Pd, che stronca il Def: “Giusto disinnescare l’aumento dell’Iva, ma la previsione di ulteriori tagli al welfare locale per 10 miliardi porterà a un effetto negativo sul Pil finanche superiore a quanto si sarebbe verificato con gli aumenti di imposte. In alternativa ai tagli al welfare locale, si dovrebbe utilizzare lo spazio sotto il vincolo del 3% del rapporto deficit-Pil e incominciare a riqualificare e riallocare la spesa, in particolare verso significative misure di contrasto alla povertà. Lo scenario definito dal Def implica un galleggiamento della nostra economia e disoccupazione senza miglioramenti”.
Più duro il commento del leader della Lega Nord Matteo Salvini il quale, come spesso accade, si affida ai social network: “Renzi: ‘non ci sono tagli o aumenti di tasse. Da quando siamo al governo abbiamo ridotto le tasse’. MAVAFFANCULO, bugiardo al servizio di Bruxelles. E l’aumento delle tasse sui conti correnti? E sui fondi pensione? E il raddoppio dell’Iva sul pellet da riscaldamento? E l’Imu sui terreni agricoli? E le tasse sulla casa, dal 2011 addirittura teiplicate? Dati Istat: nel 2014 pressione fiscale record al 43,5%. Renzi e Alfano a casa! e l’Italia riparte”.
Anche Forza Italia, per bocca del capogruppo alla Camera Renato Brunetta, non lesina critiche: “Matteo Renzi dei miracoli: cancella le clausole di salvaguardia, non mette nuove tasse, non fa tagli. E chi è, mandrake? Mandare in soffitta la legge di Stabilità, come recita ingenuamente un’agenzia ispirata dal governo? Certo si può fare. Ma solo dopo aver cambiato leggi che sono diretta attuazione dell’articolo 81 della Costituzione e numerosi articoli dei regolamenti parlamentari, che richiedono la maggioranza assoluta dei componenti delle rispettive Camere”.
Dodici riforme in due anni
Dodici riforme in due anni, in cambio della tanto agognata flessibilità sui conti pubblici da parte di Bruxelles, che si tradurrebbe in un margine di manovra di 7-8 miliardi: mezzo punto di Pil in più da spendere nel 2016, quando la crescita salirà all’1,1 per cento e il deficit scenderà – stando alle previsioni – all’1,7 per cento. Il “Pnr” (ossia, il più vasto Piano Nazionale delle Riforme) arriverà sul tavolo del Consiglio dei Ministri nella giornata di venerdì. Alle 13:30 di oggi, invece, il cdm si riunisce per fissare i punti principali del Def, il documento di economia e finanza.
Def: indiscrezioni confermate
Le indiscrezioni circolate sabato sulla bozza del Def dovrebbero essere tutte confermate. La clausola di salvaguardia per l’aumento dell’Iva (16,8 miliardi di euro a partire dal primo gennaio 2016) sarà neutralizzata grazie a una serie di tagli a municipalizzate, enti locali, ministeri, fondi alle imprese e agevolazioni fiscali, più una stretta sulle prestazioni sociali con norme più stringenti per l’erogazione delle pensioni di invalidità, per un totale di 10 miliardi. A questi vanno aggiunti i quattro miliardi di euro derivanti dalle maggiori entrate fiscali che il governo ha previsto per quest’anno, ed altri due miliardi (ma potrebbero anche arrivare a quattro) di risparmi sull’interesse del debito ottenuti grazie al crollo dello spread, stabilmente sotto quota 100.
Def: enti locali sul piede di guerra
Le regioni come i comuni sono già sul piede di guerra. La Cgia di Mestre ha quantificato in 25 miliardi di euro i tagli che dal 2011 i governi hanno imposto a Regioni ed enti locali. Nelle casse dei sindaci, la sforbiciata quest’anno tocca gli 8,3 miliardi di euro: 9,7 per le Regioni a Statuto ordinario e 3,3 per quelle a Statuto speciale. Per le Province – sulla carta in via di rottamazione, ma ancora vive e vegete – il calo dei trasferimenti è stato di 3,7 miliardi.
Cifre imponenti – secondo il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi – “che, in buona parte, Sindaci e Governatori hanno compensato aumentando le tasse locali e tagliando i servizi alla cittadinanza. Grazie a questi tagli, lo Stato centrale si è dimostrato sobrio e virtuoso, scaricando il problema sugli amministratori locali che, ‘obtorto collo’, hanno agito sulla leva fiscale”.
La morale, dice Bortolussi, è che la “la minor spesa pubblica a livello centrale è stata pagata in gran parte dai cittadini e dalle attività produttive che hanno subito un fortissimo aumento delle tasse locali”.
A loro risponde Renzi durante il Cdm. “Incontriamo prima di venerdì i Comuni e se serve anche le Regioni ma ribadisco che non ci sono tagli per il 2015 ma che nel 2016, 2017, 2018 continui la revisione della spesa è un fatto banale”.
Def: i tagli penalizzano soprattutto il Sud
Ma dai tagli alla spesa pubblica sarà soprattutto il Sud ad uscire con le ossa rotte. Secondo elaborazioni Svimez-Irpet, nel 2015 il taglio della spesa pubblica in percentuale del Pil sarà del 6,2% al Sud, più del doppio del Centro-Nord (-2,9%). Giù anche la spesa in conto capitale: -2,1% contro -0,8% del Centro-Nord.
“Sono gli effetti di una ‘spending review’ all’italiana, poco definita e poco realizzata, che non ha interessato effettivi sprechi bensì un crollo generalizzato di investimenti pubblici e di incentivi alle imprese, mentre servirebbe trasformare gli sprechi in spesa produttiva per i servizi pubblici fortemente carenti specie nelle aree svantaggiate del Paese”, sottolinea lo studio Svimez “Spending review e divari regionali in Italia” di Adriano Giannola, Riccardo Padovani e Carmelo Petraglia, che sarà pubblicato sul prossimo numero della rivista “Economia Pubblica – The Italian Journal of Public Economics”.