Lavoro e dati Istat: i sogni di Renzi sono solo illusioni?
Vi era molta attesa per i dati ISTAT sull’occupazione relativi a marzo, il primo mese di entrata in vigore del Jobs Act, la riforma del lavoro.
In maniera del tutto inusuale il ministero del lavoro, una decina di giorni prima dell’istituto di statistica, aveva diffuso dei dati molto ottimistici che avevano generato (e del resto era questo lo scopo) molto entusiasmo. Il numero di attivazioni di nuovi contratti di lavoro era stato stimato come pari a 641.572, in aumento rispetto ai 620 mila circa dello stesso mese del 2014. Considerando che nello stesso mese le cessazioni erano state 549.273, si ha un saldo positivo di 92.299 unità.
Di più: 162.498 contratti erano a tempo indeterminato, mentre a marzo 2014 erano stati 108.647, con un miglioramento quindi anche qualitativo.
Ora tuttavia dai dati ISTAT emerge una realtà diversa sul lavoro, una realtà ancora di crisi e di dati in ulteriore peggioramento: l’occupazione cala di 59 mila persone in un solo mese tra marzo e febbraio e, nel complesso, di 70 mila rispetto a marzo 2014, essendoci stato nel frattempo un miglioramento.
A fronte di una occupazione di nuovo in calo e di un tasso di attività stabile, dopo essere aumentato a lungo, la disoccupazione naturalmente risulta in aumento, dopo essere calata tra novembre e gennaio:
Di fatto i disoccupati sono aumentati di 52 mila persone in un mese, e rispetto al marzo 2014 il numero di chi non ha un lavoro è salito di 138 mila unità.
Di fatto quasi tutti i nuovi attivi tra il 2014 il 2015 – 140 mila persone (di cui 128 mila donne) – si sono trasformati in disoccupati: + 138 mila senza lavoro di cui, anche qui, 107 mila sono donne.
Possiamo affermare che la principale vittima di questo ulteriore anno di crisi e disillusione è donna e giovane.
Sono infatti soprattutto le donne ad essere entrate nel mondo del lavoro, ed è un segno particolarmente negativo che da un certo punto in poi la diminuzione degli inattivi, ovvero di chi non è occupato nè è in cerca di un lavoro, si è fermata da settembre in poi.
Con i tassi di occupazione così bassi, soprattutto quello femminile (appena il 46%), un importantissimo driver dovrebbe essere proprio il calo dei tanti inattivi.
Spagna: + 500 mila occupati in un anno
Cosa succede nella vicina Spagna? Di seguito vediamo i tassi di aumento annuali dell’occupazione in Spagna
Sono 504 mila le persone che hanno trovato un lavoro in Spagna in un anno, in particolar modo uomini, i più colpiti dalla crisi economica.
Parallelamente sono diminuiti di 487 mila i disoccupati, con tassi di diminuzione sempre maggiori:
Si è trattato di una occupazione andata a beneficio soprattutto di coloro che erano rimasti disoccupati, visto che il numero degli attivi non è aumentato in Spagna, e anzi ha seguito la diminuzione della popolazione, quindi al ribasso.
E non si tratta, come in Italia, di un aumento di lavoro solo per i più anziani come conseguenza delle riforme delle pensioni, ma di un vero e proprio aumento di persone giovani con un lavoro rispetto all’anno scorso.
Parallelamente per la disoccupazione è un vero e proprio crollo proprio per chi ha tra i 20 e i 24 anni, ma anche fino a 54 anni.
Naturalmente queste cifre andranno confrontate, ma questi dati già delineano un confronto piuttosto impietoso con l’Italia. Abbiamo parlato già di cosa differenza i due Paesi, riforme più incisive, soprattutto sul lavoro, che hanno diminuito molto il suo costo, una spending review più profonda, e infine l’attrazione di investimenti, cosa di cui l’Italia non può certo vantarsi.
Cosa ha generato quindi questa differenza rispetto ai dati del ministero del lavoro? Questa delusione rispetto alle aspettative che il governo in primis aveva generato?
E’ probabile che nel conto degli occupati siano usciti coloro che erano in cassa integrazione, non sostituiti da altre CIG, il cui utilizzo è infatti in netto calo. Così come è probabile una diminuzione e una mancata sostituzione di partite IVA. Tutte circostanze che potevano essere considerate: che non sia stato fatto va a confermare il sospetto che dalle parti di Palazzo Chigi il lavoro vero sia solo quello dipendente.
C’è poi anche un altro punto di vista: se il Jobs Act favorisce un trasferimento da contratti a tempo determinato ad altri a tempo indeterminato, e se le decontribuzioni aiutano la creazione di nuovi posti di lavoro, sono comunque crescita e investimenti gli unici mezzi a rendere possibile l’aumento della domanda di lavoro da parte delle imprese. Questo in Italia ancora manca a differenza della Spagna, ed è un punto fondamentale su cui il governo punta di incidere solo dal lato dei consumi sperando in fattori esterni come il Quantitative Easing, un cambio favorevole o il basso prezzo del petrolio, ma con effetti ancora modestissimi e insufficienti.
Il declino, nel frattempo, continua.