Isis: conquista di Palmira e logica della distruzione
(In collaborazione con Mediterranean Affairs)
Se a marzo 2015, dopo le sconfitte subite a Kobane e a Tikrit, lo Stato Islamico (IS) sembrava stesse perdendo parte del territorio siriano fino a quel momento occupato, gli eventi dello scorso giovedì 21 maggio hanno segnato un rovesciamento della situazione.
Un successo su tre fronti
Con la conquista della città di Palmira il gruppo jihadista si è addentrato in Siria fino ad occuparne più del 50 per cento. Soltanto nella giornata di giovedì decine di soldati di Bashar Al-Assad e un numero indefinito di civili sarebbero stati decapitati dai miliziani dell’IS che hanno conquistato la città. Ad oggi, secondo le stime dell’Osservatorio nazionale per i diritti umani (Ondus), il bilancio complessivo delle vittime uccise per mano del Califfato nero ammonterebbe a 67 civili e a circa 150 soldati filo-governativi.
Questo evento rappresenta per il gruppo jihadista un importante successo militare su tre fronti. Il primo è di natura strategica: geograficamente, Palmira è la “porta che guarda a est” in quanto collega Damasco alla città orientale di Deir ez-Zor e a quella occidentale di Homs. Inoltre, è una zona caratterizzata dalla presenza di strutture militari siriane con grandi scorte di materiale bellico e, soprattutto, da importanti giacimenti di gas naturale e dal petrolio di Shaer.
In secondo luogo, l’occupazione di Palmira si configura come un successo politico dovuto alla resa dell’esercito governativo siriano che, per la prima volta, ha preventivamente abbandonato una città lasciandola nelle mani dell’IS, dimostrando di non avere sufficienti risorse per resistere all’avanzata jihadista. Il terzo motivo è di natura propagandistica: la conquista di uno fra i principali siti patrimonio dell’UNESCO in Medio Oriente ha generato un’eco mediatica di forte impatto sull’opinione pubblica mondiale che, indirettamente, contribuisce a rafforzare e divulgare l’ideologia salafita del movimento jihadista.
La logica della distruzione
Nei territori occupati dall’Isis non si consumano soltanto crimini di massa e atrocità contro le popolazioni civili, ma anche distruzioni di città millenarie dal valore storico-culturale inestimabile, come quella di Palmira. Dopo gli antichi siti assiri di Nimrud e Hatra in Iraq, ora si teme per la “Sposa del deserto” siriana e per le sue antiche rovine romane, che rischiano di essere spazzate via dalla furia indomabile dell’IS. Il critico di architettura Rowan Moore, in un articolo rilasciato al The Guardian, ha definito Palmira un antico sito romano il cui significato e valore sono superati solo da poche altre opere presenti a Roma, a Pompei e a Petra in Giordania. Pertanto, il suo abbattimento costituirebbe un’atroce perdita culturale per l’intera umanità.
Ma quale logica si cela dietro la distruzione di monumenti storico-archeologici operata dai jihadisti? La distruzione di siti archeologici e di patrimoni umanitari UNESCO consente allo Stato Islamico di autofinanziarsi tramite la vendita dei reperti depredati che, secondo l’ONU, costituisce una delle principali fonti di arricchimento del gruppo jihadista insieme alla vendita del petrolio e ai riscatti a seguito dei rapimenti. Cosciente di ciò, il governo siriano è riuscito a mettere preventivamente in salvo centinaia di statue antiche che sono state trasferite altrove per evitare che venissero saccheggiate e abbattute dall’IS all’indomani della sua avanzata nella città di Palmira.
Ma la logica di distruzione del gruppo jihadista va al di là degli obiettivi di autofinanziamento. Ciò che spinge i miliziani del Califfato nero a compiere tali soprusi è la stessa ideologia salafita che caratterizza il loro credo politico-religioso. Le rovine dei siti abbattuti sono state realizzate da popoli preislamici; Palmira, ad esempio, risale a c.ca il 2000 a.C., epoca antecedente alla “rivelazione” del Profeta. Pertanto, secondo l’interpretazione estremista dell’IS, prima dell’Islam gli arabi vivevano nell’ignoranza e nella perdizione (jahiliyya) e, in quanto popolazioni “tribali”, non avevano il diritto di lasciare retaggi storico-culturali. Secondo questa logica sono stati annientati anche alcuni reperti archeologici presenti nei siti assiri in Iraq in quanto ritraevano divinità pagane.
Nel frattempo, critici d’arte, professori universitari, politici e personalità di spicco nel settore artistico e culturale, lanciano un appello alla comunità internazionale e all’UNESCO per la convocazione urgente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU a tutela dei siti archeologici di Palmira, storico crocevia di culture fra Oriente ed Occidente la cui preservazione ed integrità sono seriamente minacciate dallo Stato Islamico.
Federica Gagliardini
(Mediterranean Affairs – Contributing editor)