Le pensioni in Grecia il problema dei problemi, una situazione insostenibile
Le pensioni in Grecia il problema dei problemi, una situazione insostenibile
Per la Grecia siamo al redde rationem: dopo mesi di tira e molla tra Tsipras e Varoufakis e BCE, Commissione Europea e FMI, dalle elezioni di gennaio in poi.
Si scontrano due mentalità contrapposte, quella di ispirazione di sinistra radicale, se non comunista, che vede nell’intervento statale, la fonte di benessere e reddito dei cittadini, sia tramite l’impiego statale che con fondi di solidarietà per i meno abbienti, e quella market-friendly delle istituzioni europee che vede nella crescita economica nel lungo periodo l’unico metodo sostenibile per creare redditi.
Lo scontro di queste due visioni riguarda il fattore tempo: i greci non vogliono più sentire soluzioni che siano di austerity di breve periodo ma che permetta una crescita nel lungo termine. Semplicemente non credono che questo possa succedere, e tutta la concentrazione è rivolta alla situazione presente. Le istituzioni europee e il FMI invece rimangono fedeli al modello per cui scelte fatte oggi vedranno i propri frutti, positivi o negativi, tra 20 o 30 anni, e sono quindi ora indispensabili anche misure dure se portano a una crescita sostenibile negli anni a venire.
La Grecia è purtroppo la dimostrazione della verità di quest’ultima impostazione: anni di aumento della spesa in tutti i campi e soprattutto in quello delle pensioni hanno creato una situazione insostenibile.
Di seguito vediamo come era stato fatto crescere il costo del lavoro, rispetto alla Germania, dal 2000, a fronte di una crescita del PIL provocata da un aumento della spesa pubblica che ha provocato un buco nei conti pubblici nascosto da trucchi contabili, con la complicità di tutti
Come ben sottolinea l’Economist in quegli stessi anni il sistema pensionistico permettesse di andare in pensione con 35 anni di contributi. In più se di questi 35 anni almeno 25 erano di lavori considerati usuranti, ci si poteva ritirare a 55 anni. Solo che ben un terzo dei lavoratori del settore privato appartenevano a tale categoria, compresi i parrucchieri, i suonatori di tromba, i presentatori.
Inoltre vi era una pensione minima anche dopo i 15 anni di contributi, ed era comunissimo smettere di lavorare, almeno ufficialmente, dopo i 15 anni, per intascare la pensione, e continuare dopo in nero.
Così la spesa pensionistica rispetto al PIL è decollata, fino a raggiungere il 17% del PIL, anche dopo le riforme fatte in tempo di crisi, e a superare come vediamo di seguito il livello dell’Italia
Certamente ha influito la demografia: il 20,5% dei greci ha più di 65 anni, solo Italia e Germania hanno una popolazione più anziana. L’indice di dipendenza è tra i più alti al mondo, del 30%, ovvero vi sono 30 persone sopra i 65 anni ogni 100 in età da lavoro.
Così se ponderassimo i dati in base al numero dei pensionati, vedremmo che in realtà la Grecia sta a metà classifica:
Non stupisce quindi che una famiglia su 2 dipenda da una pensione. Una situazione contraria al principio per cui il sistema pensionistico era stato fondato, ovvero di solidarietà da parte dei lavoratori verso i più anziani. Ormai quella che si sta verificando è una dipendenza della società dalle pensioni, che però in questo modo da chi vengono pagate se così poche persone lavorano? Come in Italia aumenta il peso sui pochi lavoratori e il resto è a debito.
Olivier Blanchard, noto a tutti gli studenti di economia come il redattore di uno dei testi più studiati di macroeconomia, è capo-economista del FMI, e ha sottolineato come le pensioni devono essere quindi il primo obiettivo dell’azione del governo greco, perchè ormai della spesa primaria (quindi esclusi gli interessi), il 75% riguarda proprio pensioni e salari ai dipendenti pubblici, e il restante 25% è stato tagliato all’osso. Per questo richiede che almeno venga tagliato l’1% del PIL, scendendo dal 17% al 16% di spesa pensionistica sul PIL.
In cambio verrà richiesto quest’anno un avanzo primario (la differenza tra spesa primaria ed entrate) solo del 1% e per il futuro l’obiettivo non sarà più il 4,5%, ma il 3,5%.
Come si vede, a differenza di quello che parte del movimento di estrema sinistra europeo afferma, per esempio il Pane e le Rose, è finito il tempo del deficit e dell’avanzo come unico target, anzi, viene concessa anche una spesa maggiore di quella prevista almeno in quei campi che riguardano il compito principale dello Stato, il welfare, e non salari e pensioni, ma viene richiesto un intervento su quello che è il capitolo principale di spesa.
Del resto ormai di interventi sul numero di dipendenti pubblici, sulla spesa dello Stato, sulle pensioni stesse sono stati fatti. Di seguito vediamo il calo del costo del lavoro dal novembre 2010 al novembre 2013, un 30% in meno che in condizioni normali renderebbe la Grecia più competitiva.
Tuttavia l’economia non sono solo numeri, ma vi sono delle variabili quantitative, e dei dubbi sorgono se si pensa che per esempio al momento del taglio dei dipendenti pubblici, sono stati lasciati a casa in modo molto più che proporzionale coloro che avevano un contratto a termine: si è passati in generale dai 956 mila dipendenti pubblici ai 676 mila, mentre nel sottoinsieme dei contratti a termine dai 149 mila ai 12 mila!
Per gli altri esuberi si è ricorso al pensionamento di coloro che erano vicini all’età del ritiro.
Naturalmente sono pratiche che conosciamo bene anche in Italia, molto più comode, ma anche molto poco efficienti: si è rinunciato spesso a personale giovane, anche indispensabile in certi piccoli comuni, senza fare un esame delle effettive necessità e senza riorganizzare l’apparato statale, che avrebbe un gran bisogno visto i cronici problemi di evasione fiscale, che sono molto evidenti se pensiamo che su 377 milioni di evasione accertati nei primi 6 mesi del 2014, per esempio, solo 19 milioni sono stati recuperati.
Un altro esempio di riforma fatta in modo poco efficace è stata proprio quella delle pensioni: effettivamente tra il 2010 e il 2013 in due diversi intervento è stata aumentata l’età pensionabile a 67 anni sia per gli uomini che per le donne, con l’età minima a 62, e la previsione di penalizzazioni in caso di ritiro prima dei 67 anni. Gli anni di contributi minimi sono stati alzati a 40, e il calcolo dei coefficienti cambiato, passando al sistema contributivo, così che ora il tasso di sostituzione rispetto all’ultimo salario è passato dal 96% al 54%. Inoltre il taglio di tredicesima e 14esima per i due terzi dei pensionati ha provocato un taglio del 14% degli emolumenti, divenuto il 40% per gli importi più elevati. Così ora la pensione media è di 833€ in Grecia.
Tuttavia, come accaduto con la riforma Dini in Italia, e in parte con la riforma Fornero, sono stati salvaguardati i “diritti acquisiti” per i più anziani, scaricando tutte le novità sui più giovani e i futuri pensionati:
– l’abolizione delle generosissime categorie dei lavori usuranti in realtà non vale per chi ha più di 10 anni di lavoro, che così conserva i privilegi precedenti
– il nuovo sistema di calcolo dei coefficienti vale solo per gli anni lavorati dal 2011 in poi
Non a caso a dispetto delle nuove regole generali in media in Grecia si va in pensione a 63 anni per gli uomini e a 59 anni nel caso delle donne
Il risultato di questo tipo di riforme è stato una ondata di pensionamenti e pre-pensionamenti, un po’ come accaduto in Italia nel 2011-2012, per non ricadere, se non in minima parte, nelle nuove regole, il che ha fatto schizzare ulteriormente la spesa pensionistica.
Ancora oggi, dopo le riforme, il 75% dei lavoratori va in pensione prima dei 61 anni, e il 31% dei dipendenti pubblici e il 17% di quelli privati va prima dei 55 anni.
E in ogni caso le riforme danno luogo a risparmi in modo lento e colpiscono in modo molto più pesante i lavoratori attuali, almeno quelli scampati alla disoccupazione, di quelli già pensionati o sull’orlo della pensione.
Secondo Tinios, dell’Università del Pireo, intervistato dall’Economist, gran parte di coloro che hanno pianificato di pensionarsi entro il 2020 sono stati protetti dalle nuove regole.
Sono questi motivi che hanno portato la spesa pensionistica oltre il 17% del PIL, e il motivo per cui viene chiesto dal FMI un intervento proprio in questo settore.
Uno strumento sarebbe l’anticipo dell’abolizione di ogni possibilità di pensionamento anticipato residuo al 1 gennaio 2016, e certo questo andrebbe a colpire quel gruppo di età, tra i 55 e i 65 anni, così importante in Grecia come in Italia per la politica, in quanto organizzato, influente, e numeroso, soprattutto alle urne.
Intendiamoci, in Grecia questo segmento di popolazione non è rimasto praticamente immune dalla crisi come in Italia, come abbiamo più volte sottolineato , naturalmente anche questi in Grecia hanno subito una riduzione dei redditi, tuttavia anche in Grecia se la sono cavata meglio dei figli e delle generazioni successive, ed è indispensabile proprio in questi Paesi in declino che si rovesci il leitmotiv ormai dominante che vede per i più giovani come unica speranza quella di dipendere dalla pensione di un padre ed un nonno, con la conseguenza che le risorse pubbliche vengono destinata sempre più a queste pensioni, rendendo questa dipendenza ancora più grande, in un circolo vizioso da spezzare.