Ecco perché Tsipras sta abdicando al suo ruolo di leader
Sul caso “grexit” siamo alle battute finali. L’ultimo colpo di teatro in ordine di tempo è la proposta di un referendum (che dovrebbe tenersi il 5 luglio in Grecia) sul se accettare o no le richieste della comunità europea al popolo greco.
Il merito economico della questione esula da questa riflessione, pertanto niente grafici (che useremo con grande dettaglio nei prossimi approfondimenti), ma solo una pura e semplice riflessione politica.
Quello che sta avvenendo è del tutto inusuale, anche perché di referendum così importanti, per una decisione prettamente economica, indetti e tenuti nel giro di sette giorni, non se ne sono visti tanti nella storia occidentale, c’è anche il dubbio se sia legittimo o meno indirlo in questo modo.
Non stiamo parlando di una guerra o di una secessione, stiamo parlando di scelte economiche e di valuta. Qualcuno parla di austerità ma ci sarebbe da chiedersi con che coraggio si parli di austerità quando il bilancio dello stato è sistematicamente in rosso ogni anno da molti anni. Può mai essere definito austero uno che da sempre spende più di quanto guadagna?
Per qualcuno sì. Per quanto assurda sia questa definizione, assolutamente difforme dal senso stesso delle parole usate, molti media e molte persone usano questo frame narrativo, e con questi bisogna fare i conti.
Delle due l’una: o il governo greco è convinto che comunità europea abbia ragione e quindi sta mentendo al suo popolo e lo sta portando nella direzione sbagliata, oppure è convinto di avere ragione e quindi deve esplicare il proprio mandato portando avanti il proprio programma senza bisogno di chiedere il permesso, avendolo già avuto alle elezioni di pochi mesi fa – tra l’altro ottenendo 149 seggi su 300 col solo 36% di voti e con una affluenza del 64%, quindi con il voto di meno di 1/4 degli aventi diritto.
Tornando invece all’argomento del giorno, il punto politico è questo: Tsipras così facendo abdica al ruolo di leader del suo paese, scaricando sul popolo l’onere di una decisione che non è capace di prendere da solo. Se è convinto, come dice, di voler uscire dalla comunità europea per mantenere il regime di spesa pubblica a fronte delle scarse entrate, allora deve dare l’ordine ai suoi di abbandonare la grossa nave europea in questo momento di tempesta e fare salire il suo popolo sulla piccola scialuppa della dracma, prendere il comando del timone, sperando di portare il proprio popolo in acque più sicure.
Tsipras ha paura di assumersi questa responsabilità in prima persona in caso di naufragio definitivo, quindi col referendum potrà dire che non è stato lui a commettere questo errore fatale ma il popolo greco, in piena coscienza, e che quindi è stato un tragico errore di tutti. Tutti colpevoli, nessun colpevole.
Ma più probabilmente spera che il popolo lo sconfessi e faccia ciò che è giusto al suo posto. In questo modo il premier greco potrà dire di non aver mancato alle sue promesse elettorali, visto che è stato il popolo greco a decidere in autonomia, in base alla medesima logica con la quale Bertinotti si vantava di non aver mai firmato un accordo sindacale (al momento della firma lui non si faceva trovare), o con cui qualche parlamentare usciva dall’aula per non votare contro il governo del proprio partito alle questioni di fiducia.
In questo modo Tsipras potrà dire “non sono stato io” e lavarsene le mani una volta che il popolo fosse chiamato a fare sacrifici.
Ma qualora il popolo, a maggioranza, sconfessasse la linea politica fondamentale di negoziato con la comunità europea, tenuta finora da Tsipras e dal suo governo, non ci sarebbe altro da fare per il governo greco che dimettersi in quanto palesemente non più in sintonia con la volontà del proprio popolo e quindi non più in grado di rappresentarlo.
Altra cosa da dire a chiare lettere, è che se questa è la situazione – e lui la conosceva bene – il referendum avrebbe dovuto tenerlo prima. In questo modo ha dato solo l’impressione di aver tirato fino all’ultimo un enorme bluff con le istituzioni europee sperando di averla vinta all’ultimo secondo.
In Italia si chiedono le dimissioni di chiunque per qualsiasi motivo, basta un gruppetto di persone che protestano davanti a un ministero, o peggio ultimamente persino qualche “tweet”per fare invocare le dimissioni da parte di media e giornali di parte (e questo è un argomento sul quale torneremo certamente), ma poi quelle stesse persone, che per i nostri governanti non fanno sconti nemmeno per una inezia, saranno le prime a dire sui social “bravo Tsipras! Avanti così!”.
Avanti dove, se la direzione anziché darla in prima persona la lascia al proprio popolo che ora più che mai ha bisogno di una guida?
Non c’è nulla di sensato in un sistema assistenziale che spende così tanto in pensioni e per un pubblico impiego improduttivo, usato come ammortizzatore sociale.
La ragione fondamentale per la quale queste pretese sono insensate è semplicissima: i soldi non crescono sugli alberi, ma sono frutto del lavoro di qualcuno. Quando ad un pensionato si danno più soldi di quelli che ha messo da parte durante l’arco della sua vita lavorativa, quando si dà un reddito di cittadinanza senza alcun merito (a parte il luogo di nascita), quando si dà uno stipendio a qualcuno nel pubblico impiego per non fare nulla, quando si assume a tempo indeterminato, attraverso continue sanatorie, un insegnante che non sa insegnare ed è lì perché “non sapeva cosa altro fare nella vita” (e qui chiediamoci perché sempre più famiglie appena possono tolgono i loro figli dalla scuola pubblica e li mandano in qualche scuola privata pur pagando molto di più), quando si strapagano consulenze per aziende che non danno alcun valore aggiunto (qui un riferimento al caso del logo Alitalia è d’obbligo), quando insomma si danno soldi e risorse a qualcuno che non ha fatto nulla per meritarli, quando si paga un falso invalido che ha come unico handicap la pigrizia, questi soldi e queste risorse vengono tolte a qualcun altro che invece ha lavorato e non percepisce i frutti del proprio lavoro.
E’ questa la “giustizia sociale” che prevede la parte di popolazione perbenista, benaltrista e buonista che fa il tifo per Tsipras? E’ questo il concetto di meritocrazia?
Non si parla di contributi di solidarietà, che vanno elargiti assolutamente ove davvero necessari. Prima di chiedere i soldi ai contribuenti, vanno messe in chiaro queste cose, e non lo si fa per cattiveria, o per irriverenza verso la gloriosa storia antica dei greci, ma per giustizia, e la giustizia non è né buona né cattiva, e non campa di rendita sui fasti di un lontano passato.