Occupazione femminile, le donne ancora rinunciano alla carriera per i figli
Occupazione femminile, le donne ancora rinunciano alla carriera per i figli
Anche se, come si dice in questi casi, ci sono segnali di miglioramento, e luci in fondo al tunnel, l’occupazione e la mancanza di occupazione rimangono al centro del dibattito politico e mediatico.
In Italia all’interno del più grosso problema del lavoro vi è una peculiarità che ci distingue ulteriormente dal resto dell’Europa, quella della bassissima occupazione femminile. Ne abbiamo già parlato ampiamente, di fatto nel nostro Paese in base ai più recenti dati ISTAT meno della metà delle donne tra i 15 e i 64 anni lavorano, il 47,4%, uno dei dati più bassi in Europa.
Questi dati fanno anche più impressione infatti se confrontati con quelli degli altri Paesi. Di seguito si ripropone il grafico della differenza di occupazione tra uomini e done nei Paesi industrializzati. L’Italia viene subito dopo società molto maschiliste come Turchia e Giappone e Malta come gap occupazionale tra uomini e donne.
Gap che rimane alto anche se, partendo da livelli veramente elevati, si è ridotto durante la crisi, ma solo perchè il crollo dell’industria e dell’edilizia ha colpito proporzionalmente più l’occupazione maschile.
Il segmento che però più ci interessa è quello delle giovani lavoratrici, vediamo di seguito come tra i 25 e i 34 anni l’occupazione femminile si discosti da quella degli altri Paesi, anche da quella spagnola, più che in altri segmenti di età
Occupazione femminile, l’85% delle dimissioni volontarie sono di lavoratrici madri.
Cosa influisce, tra le altre cose, su questi dati? Un aiuto ci arriva dalla relazione annuale del Ministero del Lavoro sulle convalide delle dimissioni delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri, realizzata per monitorare il fenomeno delle dimissioni in bianco e degli abusi ai danni soprattutto delle madri.
Ebbene, a quanto risulta l’85% di queste dimissioni provengono da lavoratrici madri e solo il 15% da padri, e tra le motivazioni addotte dalle donne dimissionarie più del 50% riguardano la cura dei figli, tra un 20% che dichiara di volersi dedicare solo alla prole, un 6,5% che non ha ottenuto un orario ridotto, un 38% che denuncia una incompatibilità tra il ruolo di lavoratrice e e di mamma, sia per i costi di assistenza al neonato, che per la mancata accettazione al nido, che per l’assenza di altri parenti che si possano occupare del bambino.
Di seguito possiamo vede l’età delle donne che si dimettono volontariamente e vediamo come prevalgano le persone giovani, a testimonianza del legame tra maternità e uscita dal mondo dal lavoro
Per la gran parte sono tra i 26 e i 35 anni, proprio l’età in cui l’Italia, come abbiamo visto è più indietro rispetto agli altri Paesi nell’occupazione femminile.
In questo fenomeno influisce anche la particolare struttura dell’economia italiana, fatta di micro-imprese, in cui è praticamente impossibile implementare non solo un welfare aziendale, cosa impensabile, ma neanche rispettare le normali tutele previste dalla legge per chi diventa genitore. Vediamo sotto come il 58% delle dimissioni convalidate nel 2014 riguardi aziende fino a 15 dipendenti, in cui in realtà lavora solo il 36% degli italiani secondo l’ISTAT
Le donne tendono a lavorare in aziende più piccole, e quindi con meno possibilità di tutela, e ancora, le dimissioni delle madri lavoratrici avvengono più che proporzionalmente in queste aziende.
Altri numeri sulla situazione ci vengono dall’ISTAT, una ricerca del 2012 riportava che il 22% delle madri occupate prima della gravidanza non lo sono più dopo, e più della metà di queste per dimissioni volontarie. Al Sud questa percentuale supera il 30%.
Inoltre solo il 52% delle donne con due figli lavora, contro una media nazionale tra i 35 e i 39 anni (fascia in cui è più probabile essere madri con figli piccoli) del 62%. Al Sud è solo il 37,6%.
Più della metà dei bambini è affidato ai nonni, e solo il 37% agli asilo nido, a dimostrazione della loro carenza in molte parti d’Italia.
Queste solo alcune delle statistiche di una situazione che certo non esaurisce le cause, ma contribuisce a dare un’idea dei motivi di un tasso occupazionale così basso per le donne in Italia rispetto agli altri Paesi avanzati, che a sua volta certamente è correlato con le nostre pessime performances di crescita registrate negli ultimi 20 anni in confonto al resto d’Europa.