Polonia, oggi referendum su legge elettorale, finanziamento partiti e fisco
Referendum in Polonia, lontano il quorum per renderli vincolanti ma scatta l’analogia con quelli italiani del 1993: la storia si ripete?
Domenica 6 settembre 2015, urne aperte dalle ore 6 alle 22 per i cittadini della Repubblica di Polonia chiamati ad esprimere su tre referendum nazionali che riguardano legge elettorale, finanziamento pubblico ai partiti e fisco. Saranno vincolanti solamente se riusciranno a superare il quorum del 50%, altrimenti avranno valore solo consultivo.
Indetti in extremis dal presidente uscente Bronisław Komorowski che con questa mossa ha tentato invano di convincere gli elettori che al primo turno delle elezioni presidenziali dello scorso maggio avevano votato l’outsider Kukiz, arrivato terzo, si tratta di tre quesiti:
- Lei è a favore dell’introduzione di circoscrizioni uninominali per l’elezione del Sejm (Camera dei Deputati) polacco?
- Lei è a favore del mantenimento dell’attuale sistema di finanziamento ai partiti politici con fondi dal bilancio dello Stato ?
- Lei è a favore dell’introduzione di un principio generale che risolva i dubbi interpretativi della normativa fiscale a favore del contribuente?
Referendum Polonia, legge elettorale: collegi uninominali?
Fortemente voluto dal cantante punk Paweł Kukiz, giunto terzo alle elezioni presidenziali con il 21% dei voti dei polacchi, viene presentato come un referendum anti-partitocrazia. A suo dire, se ogni circoscrizione territoriale eleggesse direttamente un solo rappresentante, come nel “sistema inglese”, si avrebbe un rapporto migliore tra elettore ed eletto, venendo meno l’intermediazione dei partiti. Tuttavia l’esempio italiano ha mostrato come, pur con una legge uninominale, possa anche aumentare l’ingerenza dei partiti, che potrebbero “catapultare” nei seggi più sicuri alcuni candidati scelti centralmente oppure spartirseli mediante “patti di desistenza”.
Attualmente in Polonia per l’elezione dei 460 parlamentari del Sejm (Camera dei deputati) vige una legge elettorale basata su 41 collegi plurinominali (mediamente ciascuno elegge 13 o 14 rappresentanti) eletti proporzionalmente, con uno sbarramento nazionale del 5% per i partiti e dell’8% per le coalizioni. Questo anche per rimanere conformi all’articolo 96, c.2, della Costituzione polacca, secondo cui il Sejm viene eletto conformemente al principio di proporzionalità. Escluderebbe quindi un sistema con collegi uninominali come quello utilizzato per i 100 membri del Senato polacco, visto solitamente come l’opposto della proporzionalità. Per fare un chiaro esempio di disproporzionalità, con una legge uninominale la Lega Nord oggi in Italia otterrebbe molti più seggi rispetto al Movimento 5 Stelle, nonostante quest’ultimo abbia percentualmente più consensi, stando ai sondaggi.
Contestualmente all’indizione dei referendum, l’ex presidente Komorowski aveva perciò presentato anche un progetto di modifica della Costituzione. Tale proposta, oltre ad una nuova legge elettorale, dovrebbe essere approvata qualora in questo referendum vincessero i sì, cosa abbastanza prevedibile, e soprattutto – molto meno scontato – se si superasse il quorum del 50% dei votanti. Oltre ai dubbi di incostituzionalità, considerati risolvibili, altri lamentano la vaghezza della formulazione, perché aprirebbe la strada a tipologie diverse di collegi uninominali: turno secco, doppio turno, o voto trasferibile?
Referendum Polonia, mantenere l’attuale finanziamento pubblico ai partiti?
Per ottenere il finanziamento dal bilancio statale, un partito deve aver ottenuto il 3% dei voti validi, o il 6% se in coalizione. L’importo del finanziamento viene calcolato con un sistema a scaglioni, che tende a ridurre progressivamente il peso di un voto in più, un sistema inverso rispetto a quello utilizzato per calcolato le imposte sui redditi. Ad esempio, per la quota sotto il 5%, per ogni voto si assegnano 5,77 złoty polacchi (circa 1,36€), mentre lo scaglione per la quota che supera il 30% garantisce appena 0,87 złoty (0,20€) a voto addizionale. Tale sistema è costato 54,5 mln zł. nel 2014 (12,8 milioni di €), mentre per il 2015 ne sono previsti a bilancio 63,1 milioni di złoty (14,1 milioni di €). Per fare un confronto con l’Italia, a titolo di “rimborso spese elettoriali” nel 2012 si era arrivati ad una cifra molto maggiore, 182 milioni di €, ammontare poi ridimensionato a 91 mln € e infine a 36,4 milioni di € previsti per il prossimo 2016, dopodiché entrera a pieno regime il 2×1000, il cui tetto massimo nel 2017 è fissato a 45 mln €. Va precisato che il PIL italiano è quattro volte maggiore rispetto a quello polacco.
Tornando al referendum polacco, anche tale quesito a molti non sempra essere sufficientemente chiaro: le alternative sono il mantenimento del sistema o il cambiamento, ma verso quale direzione? Sia chi volesse aumentarlo, sia chi volesse introdurre un sistema analogo al ostro 2×1000, sia chi volesse abolirlo voterebbe “no”. Il risultato “anticasta” potrebbe essere plebiscitario, ma anche in questo caso il quorum dei votanti sembra un miraggio.
Referendum Polonia, in dubio pro tributario?
Nella normativa polacca, in caso di controversie interpretative in materia fiscale, non esisteva un principio di in dubio pro tributario, come del resto non è esplicitamente presente in Italia, sebbene in caso di obiettive condizioni di incertezza l’Ordinamento italiano non commina sanzioni.
Nei mesi scorsi il parlamento polacco ha approvato alcuni emendamenti al Codice Tributario, con una legge promulgata il 5 agosto dal Presidente uscente nel suo ultimo giorno di mandato, secondo cui i dubbi in merito al contenuto delle disposizioni di norme fiscali devono essere risolti a favore del contribuente. Se alcuni giudicano questo quesito come inutile, altri lo vedono come un modo per rafforzare il nuovo principio entrato nella normativa polacca, rendendolo maggiormente vincolante.
Referendum Polonia, le polemiche sui costi e l’analogia con i quesiti italiani del 1993
L’ultimo referendum in Polonia si era tenuto nel 2003 per sancire l’ingresso nell’Unione Europea e vide un’affluenza del 59%, con una maggioranza del 77,6% favorevole all’UE. Per quello precedente bisogna tornare al 1997, che portò alle urne solo il 43% degli elettori per approvare, di misura, la nuova Costituzione attualmente in vigore. L’affluenza alle urne generalmente è bassa: alle ultime legislative del 2011 votò il 49% degli aventi diritto, percentuale analoga al primo turno delle presidenziali di maggio, salita poi al 52% al ballottaggio. Invece, alle elezioni europee del 2014 votò appena il 24% dei polacchi. Se a ciò aggiungiamo la campagna di boicottaggio nei confronti di questi referendum, anche in segno di protesta nei confronti di una spesa di 100 milioni di złoty (23,7 milioni di euro), il quorum del 50% che rende vincolante il responso sembra difficile da raggiungere. Il prossimo appuntamento elettorale sarà il 25 novembre, con le elezioni parlamentari.
I primi due quesiti ci riportano a quanto accadde più di vent’anni fa in Italia, nel 1993, quando si votarono due referendum analoghi che aggiunsero un’affluenza del 77%: uno con l’82,7% dei voti introdusse un sistema maggioritario per l’elezione del Senato, poi riformulato con la legge elettorale Mattarellum, e l’altro con il 90% dei voti abolì il finanziamento pubblico ai partiti, a detta di molti rientrato dalla finestra a titolo di “rimborso spese elettorali”. La storia si ripete?