I consumi sono in ripresa, ma agli italiani cibo e vestiti interessano di meno
I consumi sono in ripresa, ma agli italiani cibo e vestiti interessano di meno
La buona notizia, che non è certamente sfuggita a media e politici, è che i consumi sono ripresi, +2,1% in luglio, il più grande progresso da più di 5 anni. E’ dunque finita la grande crisi, e non potremo più parlare di famiglie in ristrettezze economiche?
Consumi, la ripresa c’è, ma è trainata soprattutto dalle auto
Intanto vediamo come tra alti e bassi (questi dati arrivano a giugno) un recupero c’è stato, ma in effetti rispetto al livello del 2010 ancora siamo ancora circa 5 punti sotto, e nel 2010 già si erano verificati gli effetti depressori della crisi del 2008-2009.
Il recentissimo report della Confcommercio poi analizza i dati in base alle tipologie di beni e servizi, ed emergono grosse differenze:
Come è stato fatto notare sono i beni per la mobilità, automobili e motociclette, a trascinare la ripresa dei consumi, seguiti dai beni e servizi per la comunicazione. Vi è stato un aumento del 44% della produzione di automobili, grazie alla crescita della FIAT/Chrysler, contemporanea alla ripresa degli acquisti degli italiani, +14,5% le immatricolazioni.
Anche il mastodontico report della Coop sui consumi riporta come già nel 2014 fosse stata proprio la spesa per beni durevoli quella che aveva cominciato per prima a riprendersi:
Del resto, come avviene alle imprese, arriva il momento in cui è necessario ricostituire le scorte, e questo solo atto influisce positivamente su PIL e consumi, ma è un passo in un certo senso obbligato, del resto ormai l’anzianità media del parco automobilistico è di circa 10 anni, contro i 7,5 del 2003.
Consumi: cibo e vestiti non tirano più
Altri beni rimangono indietro, e non si tratta di dettagli, visto che costituiscono una parte importante dell’industria e del mercato interno: calzature, abbigliamento e cibo. Insomma, gli anni ’80 sono finiti.
Sì, perchè sembra che non si tratti tanto della crisi, quanto di un cambiamento strutturale di gusti.
Se ora come si vede dal report di Confcommercio i consumi in abbigliamento e calzature sono saliti solo dello 0,8% nel luglio 2015 rispetto allo scorso anno, ma nel 2014 i consumi erano invece scesi, crollati del 7,2% nel caso delle calzature, come vediamo di seguito.
In particolare erano stati gli uomini a fare meno acquisti, e in particolare quelli tra i 35 e i 54 anni, ovvero quelli che hanno meno spese “obbligate” dalla crescita, e che comprano di più per morivi voluttuari, cosa testimoniata dal fatto che è stata la fascia medio-alta ad essere stata penalizzata.
Come abbiamo visto gli alimentari sono un’altro segmento in cui la ripresa non vi è stata, con un calo a luglio 2015 dello 0,2% rispetto a un anno prima, nonostante il generale aumento di tutti gli altri consumi.
Probabilmente non aiuta il declino della famiglia tradizionale, con genitori e figli, che viene sostituita dall’aumento dei nuclei singoli, di giovani o anziani che siano:
Queste persone tendono maggiormente a mangiare fuori, e si nota dall’aumento invece del 2% a luglio della spesa per ristoranti e pasti fuori casa.
Chi acquista beni alimentari cerca di spendere meno, da qui un aumento del giro d’affari dei discount come si vede dalla tabella ISTAT sul giugno 2015. + 3,6% contro il -0,6% degli ipermercati.
Non si tratta solo di un effetto della crisi, appunto, ma anche di una certa tendenza culturale che si nota anche in una nicchia, quella del cibo etnico, di cui la Coldiretti ci dice che i consumi sono praticamente raddoppiati (+93%) sia per effetto della presenza di immigrati ma anche per una maggiore propensione degli italiani ad assaggiare ricette straniere. Il 16% degli italiani compra abitualmente cibi etnici mentre un italiano su 5 va al ristorante etnico una volta al mese. Dei ristoranti di nuova apertura, quasi uno su tre è etnico
Trend chiari anche nella spesa per il benessere, che in Italia è la più alta procapite, anche se ancora non è un fenomeno di massa come in Germania o Francia, ma in crescita più che proporzionale.
Dunque il consumatore degli anni ’10 pare in linea con le tendenze internazionali, tende a spendere in food, sì, ma fuori casa, magari in un ristorante etnico, appunto, e preferisce viaggi o wellness, all’abito elegante e firmato, e nel frattempo cerca di rinnovare l’auto, ma aspettando che arrivi a tirare le cuoia, non cercando l’ultimo modello come un tempo.
Tuttavia vi è un ambito in cui l’Italia continua a rimanere indietro rispetto al resto d’Europa, negli acquisti online:
Solo il 6% delle aziende, meno della Grecia, utilizzano il canale online, contro il 22% della Germania, e solo circa il 20% della popolazione acquista dalla rete, contro quasi la metà nell’Unione Europea. Certamente il fenomeno è in crescita, ma in linea con la crescita europea, mentre visto il terreno da recuperare dovremmo correre più velocemente.
E anzi nelle regioni meridionali che più sono arretrate da questo punto di vista la crescita addirittura sembra essere minore.
Consumi, la differenza tra Sud e Nord si amplia
Il Sud appunto. Non si riuscirebbe a capire la crisi italiana di questi anni se non si considerasse l’enorme divario tra il Centro-Nord e il Sud, ovvero l’area del Paese che più incide sulle statistiche negative sull’economia italiana, che più ha sofferto la crisi e di conseguenza ha aumentato la propria distanza dal resto del Paese.
Anche nei consumi: la spesa media mensile nelle isole è quasi 1000€ in meno che al Nord Ovest, e le differenze rispetto alla media nazionale si notano soprattutto nei consumi più voluttuari, -40%, -49% per alberghi e ristoranti, , -31%, -36% per il tempo libero.
Un Sud che rischia di rimanere alla deriva mentre il Nord si avvicina all’Europa negli stili di consumo e comportamento, lo abbiamo visto nell’e-commerce, ma anche nelle spese più necessarie, come gli alimentari, dove vi è un mutamento culturale, certo, ma ancora molto influenzato dall’andamento economico: l’area del Sud e delle Isole, quella che ha visto un aumento minore tra il 2007 e il 2014 degli acquisisti nella Grande Distribuzione, è anche l’area in cui i discount acquistano più fette di mercato, dal 10% al 21%
In questi anni di crisi appunto al Sud i consumi in supermercati, ipermercati e discount sono aumentati del 3% contro il 9% del Nord Est, ma sarà decisivo verificare ora, con la ripresa forse finalmente avviata, come il Sud si comporterà rispetto alla media italiana ed europea.