Economia mondiale: i profitti caleranno da qui al 2025, vediamo perchè
Economia mondiale: i profitti caleranno da qui al 2025 secondo Mc Kinsey
Ebbene sembra che avessero ragione coloro che come Piketty e altri denunciavano che nella secolare lotta tra il profitto, il salario, la rendita hanno prevalso il primo e la terza, almeno negli ultimi 33 anni.
E a dirlo non è un economista marxista, ma la più prestigiosa società di consulenza strategica del mondo, Mc Kinsey, che in un suo report descrive cosa è accaduto all’economia mondiale dagli anni ’80 in poi.
Tuttavia nei prossimi 10 anni tutto cambierà.
I profitti aumentano grazie ai Paesi emergenti, ma sono Europa e Nordamerica a rimanere le aree più produttive
Vediamo prima quello che è accaduto finora: i profitti si sono moltiplicati, passando da 2 mila miliardi di dollari, a 7 mila 200 miliardi, ma soprattutto è la quota del PIL mondiale che è aumentata, dal 7,6% al 9,8%
Mc Kinsey non dà alcun giudizio di merito, ma descrive quello che è accaduto, e che sta accadendo.
Le trasformazioni dell’economia mondiale, in primis la globalizzazione, hanno innescato una crescita dei profitti, principalmente per i vantaggi di catene di distribuzione più corte ed economiche, che ha permesso un impensabile espandersi del commercio mondiale. Questo da solo provoca quasi metà dell’aumento dei profitti.
Un altro ruolo fondamentale lo ha avuto l’ingresso di 1,2 miliardi di nuovi consumatori, in gran parte asiatici, che hanno spinto la domanda, aumentato le economie di scala e aumentato la produttività.
Infine un ruolo minore ma non residuale lo hanno svolto gli investitori sia privati, delle multinazionali, che pubblici.
Un’altra strada hanno appunto preso i salari, in discesa soprattutto dopo il 1990, almeno negli USA
In tutto il mondo occidentale, anche se come sappiamo non in Italia, l’aumento dei salari comunque c’è stato, ma inferiore a quello della produttività
Da un punto di vista geografico i due terzi dei profitti rimangono nelle mani delle economie avanzate: il Nordamerica e l’Europa Occidentale si dividono metà dei profitti mondiali, con la Cina che ormai conta per il 14%, lasciando il Giappone al 7%, comunque un punto in più dell’intero Sudamerica.
Le differenze tra le aree principali dell’economia mondiale non sono solo quantitative: nei Paesi emergenti si è assistito a una focalizzazione sull’aumento dei fatturati, più che sui profitti. Si vede bene dal cambiamento delle proporzioni delle vendite realizzate nell’economia mondiale. A fronte di un più che raddoppio delle vendite è calata la proporzione soprattutto dell’Europa Occidentale, dal 36% al 23%, e del Nordamerica dal 29% al 24%. Certamente conta il minore peso demografico, soprattutto dell’Europa, ma soprattutto il boom economico asiatico e in parte sudamericano. La Cina da sola aumenta di 6 volte la proporzione di vendite realizzate dalle proprie aziende, dal 6% al 19%
A livello di profitti invece i Paesi emergenti sono rimasti indietro: si tratta di imprese che molto più spesso delle imprese occidentali (soprattutto americane) sono di proprietà familiare, se non addirittura statale come in Cina. Non devono rispondere agli azionisti con dividendi generosi nel breve periodo, possono programmare crescite di lungo periodo, alla cui base mettono la crescita dimensionale, dei fatturati, prima che delle produttività. Si vede bene di seguito, in cui osserviamo come a fronte di un aumento del rapporto fatturato/capitali del 77%, c’è stata addirittura una diminuzione delle nei margini del 5,6%, mentre un aumento del 3% si è verificato in Nordamerica anche di fronte ad aumenti ridotti del fatturato
Sono state le aziende cosiddette “idea-intensive” quelle che hanno accresciuto maggiormente i margini di profitti, ovvero che si basano su ricerca e sviluppo, creazione e utilizzo di brand, sviluppo di software, le aziende farmaceutiche, dei media e della finanza.
Tra l’altro come in altri settori si è rilevato un aumento della varianza dei profitti, nel corso degli anni, e in particolare dopo il 2000:
I profitti si sono concentrati in poche multinazionali, il 10% più grande delle aziende ha realizzato l’80% dei profitti, e a soffrire sono state soprattutto le aziende capital-intensive e labour-intensive, dove si comincia a vedere l’inizio di un processo che Mc-Kinsey vede massimo per i prossimi anni, ovvero un assottigliamento del margine di profitto, schiacciato dai costi fissi da un lato, dalla competizione di prezzi che cerca di abbattere i costi (che sono profitti per le aziende fornitrici) dall’altro.
L’economia mondiale vedrà un calo dei profitti, a causa della concorrenza
Uno dei rimedi delle aziende è un’aggressiva azione di Merger & Aquisitions, ma non basta ad arginare quella che Mc Kinsey vede come una tendenza che culminerà nel 2025 con una diminuzione della quota dei profitti sul PIL, che calerà al 6%.
Benintesi, aumenteranno sempre in valore assoluto i profitti, di un altro migliaio di miliardi, ma ci sarà una compressione dei margini:
Tra le maggiori cause di questo fenomeno certamente la concorrenza: il mercato stesso quindi che limita se stesso grazie all’azione della competizione tra aziende, favorita dalla globalizzazione e dalla diffusione delle informazioni. Si pensi al settore digitale: McKinsey calcola un risparmio di 150 miliardi di dollari dal 2005 al 2013 in termini di costi telefonici grazie a Skype, con un grande danno ai margini degli intermediari tradizionali e delle già affermate aziende della comunicazione. Lo stesso vale per le librerie rese obsolete da Amazon, o i noleggi video sconfitti da Netflix o da piattaforme simili, e le agenzie turistiche in tanti casi scomparse a causa del web.
Aziende tecnologiche che capiscono il trend e tendono a diventare gigantesche, puntando sulla massa di clienti a livello globale più che sul margine di profitto.
Un altro fattore è l’invecchiamento della popolazione, e la difficoltà di rimpiazzare lavoratori in pensione con nuove leve, in Occidente e in particolare in Europa, nei settori che richiedono skills medio alti. Così per Mc Kinsey i lavoratori essendo meno possono porre una maggiore pressione in termini di salari ai maggiori players, complice la maggiore diffusione delle informazioni sui salari e le occasioni di lavoro (si pensi a Linkedin).
Si tratta in fondo anche in questo caso di concorrenza, riguardante il capitale umano.
Nessun settore è immune da questo trend, ma certo le aziende più colpite sono quelle che sono costrette a grossi investimenti fisici, le aziende del settore automotive, delle comunicazioni, del turismo.
Aveva ragione Marx allora? Chissà.
Mc Kinsey intanto dà alcuni consigli per evitare la trappola della caduta del saggio di profitto:
– Puntare ai mercati a veloce crescita, non solo la Cina che ormai sta diventando un mercato maturo, ma India, Africa, dove si stanno concentrando gigantesche multinazionali locali che stanno macinando fatturati ogni anno in salita
– Puntare ad asset intellettuali, brevetti prodotti da un’intensa attività di ricerca e sviluppo, dotarsi di un forte brand e proteggere la propria proprietà intellettuale meglio possibile
– Massima efficienza, nel ridurre i costi per unità di vendita. Sono queste le aziende che resistono meglio, come le aziende automobilistiche che a fronte di prezzi reali dell’auto invariate negli ultimi 30 anni sono riuscite a diventare più efficienti, in un settore molto maturo