Il fallimento di Civati: e ora che fa la sinistra?
Tanta fatica per niente. Pippo Civati e il suo movimento politico Possibile non sono riusciti a raggiungere il traguardo: le 500mila firme necessarie per richiedere l’ammissibilità costituzionale degli 8 quesiti referendari non sono state raccolte. Nonostante questo l’ex candidato alla segreteria del Partito Democratico, in un’intervista al canale tv della Stampa di Torino, si è detto addirittura “contentissimo” anche se “distrutto” dalla stanchezza.
“Una cosa è certa – ha scritto Civati sul proprio sito – il risultato in termini di mobilitazione è stato clamoroso, e anche inatteso nelle sue dimensioni, anche da coloro che ci hanno osservato senza parteciparvi particolarmente”.
I quesiti referendari presentati dall’ex deputato del Partito Democratico e scritti dall’ordinario di Diritto Costituzionale dell’Università di Pisa, Andrea Pertici, erano otto: due sulla Legge elettorale (abrogazione dei capilista bloccati previsti dall’Italicum e abrogazione tout court della legge stessa promulgata lo scorso 6 maggio), due sul Jobs Act (abrogazione del cosiddetto “demansionamento” aziendale e il ritorno al reintegro per licenziamenti motivati da ragioni economiche), tre sull’Ambiente (la questione delle trivellazioni in mare e l’abrogazione delle normative del 2001 che hanno facilitato la costruzione delle cosiddette “grandi opere”) e uno riguardante il disegno di legge “La Buona scuola” (in particolare l’abrogazione della nomina diretta dei professori da parte del dirigente scolastico e della possibilità di offrire incarichi triennali agli insegnanti). Tutte riforme fatte da quando Renzi è segretario del PD, cosa che ha fatto dire ad alcuni renziani che questo dettaglio dimostra che quello di Civati fosse solo un astio personale, visto che l’ordinamento italiano sedimenta leggi altrettanto contestate che vanno dal periodo fascista a oggi passando per la prima repubblica e il “ventennio” berlusconiano, ma che nella circostanza sono state totalmente ignorate. L’obiettivo politico sembra in effetti colpire su più fronti possibili l’azione di Renzi.
Temi, come si può facilmente notare, su cui la sinistra d’antan dei vari Fassina, D’Attorre, Landini, Vendola (e molti altri ancora), sembrava poter raggiungere facilmente un’unità d’intenti in nome di battaglie condivise da tempo. Nonostante questo, Civati e il suo movimento Possibile sono stati lasciati da soli in questa campagna. Infatti nessuno dei principali esponenti della sinistra italiana ha sostenuto pubblicamente Possibile. Solo i verdi del Trentino Alto Adige si sono impegnati a promuovere la raccolta delle firme e, pubblicamente, hanno sottoscritto gli 8 quesiti. Hanno firmato a titolo personale solo Alessandro Di Battista e Riccardo Fraccaro del Movimento 5 Stelle pur mantenendo delle riserve sul metodo della campagna. Così, in un passaggio del post pubblicato dall’ex consigliere regionale lombardo, il riferimento ai compagni di una vita non è neppure troppo velato: “resta il rimpianto di non dare agli italiani e alle italiane la possibilità di votare sulle riforme di questo governo, e su questo ognuno, a partire da chi non ha voluto partecipare, si prenda le sua responsabilità” ha scritto con un pizzico di amarezza Civati.
Il succo della questione è proprio questo. Tutto quel mondo – sempre e costantemente frammentato – della sinistra radicale anti-renziana non ha mosso un dito a favore della campagna referendaria di Civati. Questo si può spiegare in due diversi modi.
1. L’aspetto eminentemente politico. La raccolta delle 500 mila firme e poi di un possibile quanto probabile semaforo verde della Consulta avrebbe logicamente conferito a Civati l’investitura di nuovo leader della sinistra unita nel nome dell’anti-renzismo militante. L’ex candidato segretario del Pd sarebbe diventato il naturale aggregatore di tutta quella porzione post-comunista che – come sostengono in molti tra commentatori e addetti ai lavori – ha accolto la vittoria di Renzi alle primarie del Pd come un incidente di percorso nella lunga storia del progressismo italiano. E, ad oggi, Civati si è dimostrato inadatto per un ruolo di tale portata.
2. L’aspetto mediatico. La copertura dei media è stata minima, come ha denunciato lo stesso Civati. I principali organi di informazione hanno iniziato a parlare della questione solo a metà settembre quando lo stesso deputato aveva annunciato di aver raccolto “tra le 200 e le 300 mila firme” che, quindi, lasciavano intravedere buone possibilità di successo. Solo il Tg di La 7 ha trattato, anche se in maniera sporadica, l’argomento invitando lo stesso Civati in studio a presentare i vari quesiti. Così, nel caso in cui Possibile fosse riuscita a raccogliere le 500mila firme necessarie, la campagna referendaria della prossima primavera avrebbe certamente visto il movimento Possibile fare la parte del leone in TV ritagliandosi un ruolo di protagonista ed una attenzione mediatica finora mai avuta.
Nonostante la sconfitta, comunque, Civati ha sottolineato nel suo post di stamani che “il risultato spesso sta nel percorso e non nell’obbiettivo” e soprattutto annunciato una “prossima battaglia” contro il governo. L’occasione potrebbe arrivare proprio con il referendum sulla riforma costituzionale che, come da mesi annuncia il premier Renzi, si terrà molto probabilmente nel giugno 2016.
In questo caso i civatiani potranno contare su una schiera molto più ampia di alleati: dalla schiera folta dei costituzionalisti ai 5 stelle, passando per alcuni organi di informazione che da sempre si sono opposti al disegno di legge Boschi (il Fatto Quotidiano su tutti), anche se difficilmente riusciranno ad essere i protagonisti di questa battaglia, i riflettori saranno più probabilmente puntati sugli oppositori di Renzi che godono di maggiore consenso (in particolare Salvini e Grillo).
Certo è che ad oggi restano sul tavolo alcune questioni di fondamentale importanza: perché Possibile non ha cercato di costruire una rete di associazioni e sostenitori più ampia tale da poter portare avanti le sue battaglie in maniera più aperta e, soprattutto, condivisa? E perché farlo con tempi così eccezionalmente affrettati?
Se non si riesce nemmeno a coagulare il consenso e il supporto degli alleati naturali (come SEL), magari facendoli entrare nel comitato referendario e dividendo onori ed oneri con loro, come si può pensare di riuscire a creare una leadership politica a sinistra del PD che punti a governare? Il fallimento della raccolta di firme – che, ricordiamolo, i radicali di Pannella hanno portato a termine in perfetta solitudine decine di volte negli ultimi 40 anni – certifica una approssimazione organizzativa ed una carenza di leadership politica quasi senza appello.
E infine, siamo davvero sicuri che alla sinistra radicale importi davvero del merito delle questioni poste dagli otto quesiti di Civati o continui a fare una battaglia a sé solo per racimolare qualche poltrona o semplicemente tentare l’assalto alla fortezza di Palazzo Chigi? Tutte domande che, nel tempo, richiederanno una risposta.
Giacomo Salvini