Crollo consumo carne rossa, ecco di quanto sono diminuite le vendite
Crollo consumo carne rossa: l’ultimo rapporto dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), parte dell’OMS, che mette in correlazione il consumo delle carni lavorate e la genesi di alcuni tipi di tumore, era destinato ad avere delle grosse conseguenze ma era difficile immaginare che a poche ore dalla sua diffusione si sarebbe verificato un considerevole calo delle vendite dei prodotti di macelleria.
Il consumatore tende a generalizzare si sa e, infatti, il “crollo” non ha riguardato solo le carni lavorate ma anche le carni rosse, tuttavia, sempre il consumatore (soprattutto quello italiano) difficilmente abbandona le sue abitudini, per cui quello che oggi si definisce “allarme” potrebbe presto essere ridimensionato. Nel frattempo, però, si registra -20% del volume di acquisto, non può che confermare Gian Paolo Angelotti, presidente di Assomacellai.
Crollo consumo carne rossa: tra “psicosi” e “speranza”
Una situazione quella odierna molto simile a quella dei tempi dell’epidemia di encefalopatia spongiforme bovina, altrimenti detta “morbo della mucca pazza“, o di aviaria (in quel caso le vendite di carne bovina e pollame calarono rispettivamente dell’80 e del 50%). Da una parte, gli esercenti hanno abbassato notevolmente i prezzi dei prodotti “incriminati”, dall’altra, i clienti hanno “virato” su pesce e pollo, tradizionalmente meno costosi oltre che “approvati” dall’OMS, per cui alla fine – rileva Angelotti, intervistato da Repubblica – “il numero degli scontrini battuti ieri è uguale a quello dei giorni scorsi, il fatturato in controvalore, invece, è calato di un quinto”.
Il settore in questione in Italia vale ben 32 miliardi e offre 180mila posti di lavoro: da poco era tornato a marciare sui livelli pre-crisi. Ora, sta correndo un bel rischio ma, come afferma Francois Tomei, direttore di Assocarni, “ci vorrà un mese per avere dati seri”. Detto questo, qualche previsione sul medio-lungo periodo è già possibile farla. A differenza degli allarmi “mucca pazza” e “aviaria” – una volta terminati si è potuto tranquillamente tornare alle proprie abitudini alimentari – questo studio avrà un forte impatto sull’opinione pubblica: ci sarà un aumento di vegetariani e del consumo di carne bianca.
A questo punto, una cosa bisogna chiarirla: lo studio è autorevole, ma non fa differenza tra le filiere, tra paese a paese. Che vuol dire? Che c’è differenza tra un Prosciutto di Parma e un insaccato da discount. Dunque, finita la “psicosi”, l’Italia potrebbe addirittura guadagnarci.