Elezioni Turchia: guida al voto del 1° novembre
Domenica 1° novembre la Turchia torna al voto, a soli 5 mesi dalle elezioni di giugno, il cui risultato ha prodotto uno stallo elettorale tale da rendere impossibile la creazione di qualsiasi governo di maggioranza politicamente ed ideologicamente omogeneo. Ma la Turchia che torna alle urne è molto diversa da quella della precedente tornata elettorale, dilaniata da mesi di attentati che hanno sprofondato il Paese sull’orlo della guerra civile.
Elezioni Turchia: i risultati di giugno, lo stallo ed il caos
La tornata elettorale del 7 giugno ha restituito un Parlamento completamente frammentato, con nessun partito in grado di ottenere la maggioranza assoluta dei seggi. Questo lo scenario presentatosi:
Un risultato ampiamente sotto le aspettative del presidente Recep Tayyip Erdogan, che sognava non solo un AKP maggioritario, ma addirittura con una forza parlamentare di almeno 2/3 del totale dei seggi, una maggioranza qualificata che gli avrebbe permesso di porre in essere la tanto agognata svolta presidenzialista, modificando la costituzione e passando ad un vero e proprio “sultanato”, come bollato in maniera critica dai detrattori di Erdogan.
Il risultato elettorale non solo ha clamorosamente ridimensionato i sogni del presidentissimo, ma ha anche portato l’AKP al suo minimo storico in termini di seggi, come evidenziato nel seguente grafico, in cui sono presenti i risultati elettorali del partito dal 2002 – anno del suo esordio alle urne – ad oggi.
Come dimostrato dal grafico, il risultato di giugno ha dunque confermato – ed intensificato – l’andamento calante del partito di Erdogan, portandolo per la prima volta al di sotto della maggioranza assoluta dei seggi, nonostante a livello di voti percentuali negli ultimi 8 anni si sia mantenuto costantemente al di sopra del 40% (pur perdendo quasi 10 punti tra il 2011 ed il 2015).
Questo perché la stringente legge elettorale turca – con uno sbarramento al 10% che ha ridotto al minimo il numero di competitor in grado di accedere al Parlamento – ha dovuto fronteggiare la prorompente avanzata del partito filo curdo HDP, che alla sua prima partecipazione elettorale del giugno scorso ha ottenuto più del 13% dei voti, conquistando ben 80 seggi e frantumando letteralmente il sogno presidenzialista di Erdogan.
Con il successo elettorale dell’HDP la situazione interna in Turchia è tornata nuovamente incandescente. Dopo un biennio di tregua, i contrasti tra Ankara e gli indipendentisti curdi del PKK – che avevano ripreso a ribollire nelle settimane antecedenti al voto di giugno – sono fragorosamente riesplosi, macchiando di sangue il Paese e coinvolgendo anche l’HDP, accusato di sostenere la lotta armata portata avanti dal PKK.
Una situazione ulteriormente complicata dalla guerra portata avanti dai curdi contro lo Stato Islamico nel nord della Siria – soprattutto nell’area di Kobane, regione che – insieme ad una porzione di Iraq, Iran e l’area meridionale della stessa Turchia – rappresenta l’estensione dell’agognato Kurdistan indipendente.
I successi dei curdi in Siria – oltre che quelli dei peshmerga in Iraq – hanno iniziato ad incutere timore ad Ankara, preoccupata della possibilità di un’escalation della tensione e, con essa, delle rivendicazioni indipendentiste curde sul suolo turco. Una situazione che ha inaugurato un’aspra rappresaglia portata avanti da Erdogan, accusato apertamente da Selahattin Demirtas – leader dell’HDP – di voler provocare una guerra civile, sprofondando la popolazione nel terrore ed influenzando il risultato elettorale.
Elezioni Turchia: gli ultimi sondaggi e i possibili scenari post voto
Del resto, non è un mistero che lo stesso Erdogan, vista l’impossibilità di avere il controllo del Parlamento, non si sia stracciato le vesti dinanzi al persistente stallo post elettorale e alla necessità di dover tornare anticipatamente alle urne. Tuttavia, la strategia della tensione – degenerata negli ultimi giorni in un vero e proprio bavaglio ai media – sembra non aver particolarmente favorito Erdogan, stando al trend degli ultimi sondaggi.
Stando alle rilevazioni demoscopiche degli ultimi 3 mesi, non solo l’AKP resterebbe lontano dall’agognata soglia dei 2/3 dei seggi, ma molto probabilmente potrebbe nuovamente restare al di sotto persino della maggioranza assoluta, aprendo la strada ad un Parlamento nuovamente frammentato e – in quanto tale – difficilmente in grado di dare vita ad un governo solido ed omogeneo.
Tra gli altri partiti candidati all’ingresso in Parlamento, infatti, sembra difficile che Erdogan possa trovare valide sponde al suo progetto presidenzialista. Notevole è infatti la distanza ideologica tra l’AKP – di concezione islamista – ed il Partito Popolare Repubblicano (CHP), formazione di centro-sinistra di impronta ideologica kemalista.
Impervio potrebbe essere un accordo con i nazionalisti dell’MHP, che da un lato potrebbe essere facilitato dalla necessità comune di arginare i rigurgiti indipendentisti curdi ma che, dall’altro, costringerebbe i nazionalisti al difficile compito di lasciarsi alle spalle anni di critiche all’autoritarismo di Erdogan, una delle armi che hanno spinto l’MHP a riconquistare voti ed a raggiungere il 13% del giugno scorso.
E così, la differenza potrebbe in realtà farla il Sud-est a maggioranza curda. Quelle aree in cui – secondo Demirtas – Erdogan negli ultimi mesi ha agito per rendere impossibile la partecipazione al voto. Togliendo voti all’HDP ed alimentando le speranze dell’AKP – in caso di mancato raggiungimento dello sbarramento del 10% da parte dei filo curdi – di centrare un successo elettorale pieno che, ad oggi, sembra essere nulla più che un sogno quasi irrealizzabile.