È morto Girard, pensatore della violenza e del sacro
René Girard, antropologo francese, aveva 91 anni.
All’età di 91 anni, nelle prime ore del 4 novembre 2015 è venuto a mancare l’antropologo e filosofo francese René Girard, figura di spicco del panorama culturale europeo, nonché membro dell’Académie française nei suoi ultimi dieci anni di vita.
Nato il giorno di Natale del 1923 ad Avignone, Girard era autore di numerose opere che hanno rivoluzionato il modo di intendere concetti quali la violenza, il mito, il rito, il sacro e il sacrificio, sempre alla ricerca di una radice fondamentale che potesse dare un senso al fenomeno religioso nel suo complesso, che costituirebbe l’origine della cultura. Tra i libri più significativi ricordiamo: Menzogna romantica e verità romanzesca (1961), La violenza e il sacro (1980), Il capro espiatorio (1967).
Dal bisogno di riconoscimento al desiderio mimetico
Integrando la sociologia funzionale e la ricerca psicologica, spesso contrapposte sul tema dell’antropologia religiosa, Girard propose una prospettiva di sintesi che vede nel sacrificio un mezzo per ristabilire l’armonia comunitaria costantemente minacciata dall’aggressività delle forze in campo. Prendendo le distanze sia da Freud, sia da Lévi-Strauss, con Girard il sacro torna ad avere una sua funzione, in quanto dimensione che mantiene la violenza all’esterno della comunità grazie all’immolazione di una vittima espiatoria, anche se simbolica. Si tratterebbe allora di un’esigenza collettiva, atta a trasfigurare la violenza dannosa in un’altra dimensione che rafforza l’intera società che prende parte al rito.
La visione antropologica dell’accademico francese si fonda sulla teoria mimetica, secondo cui tutti tendiamo a convergere verso gli stessi oggetti. Docente di letteratura francese negli USA sin dagli anni 50, dall’analisi del genere romanzesco Girard si accorse che il desiderio dell’oggetto non sarebbe tanto legato ad una brama di possesso, quanto al riconoscimento presso gli altri: il desiderio non è un rapporto a due soggetto-oggetto, ma una triangolazione, con un modello più o meno conscio che vi si frappone e rappresenta una mediazione. Si instaura così anche una circolarità tra il modello e l’Altro, visto come rivale.
Dalla teoria mimetica al capro espiatorio
Il meccanismo mimetico descritto dallo studioso francese si riscontra in tutte le culture ed è esorcizzato, appunto, tramite l’atto sacrificale: l’uccisione dell’anello più debole, ritenuto dalla comunità come colpevole. Dai miti degli aztechi fino alle storie della pestilenza medioevale, passando per il pharmakos (φαρμακός) greco, lo sguardo attento di Girard intravede una costante: l’esorcizzazione del male passa attraverso il sacrificio del debole, creduto colpevole (transfert negativo), e poi la sua divinizzazione (transfert positivo).
La fede cristiana di Girard, convertitosi nella fase di scrittura del suo primo libro, si fonda sulla capacità del Cristo di smontare questo meccanismo: Cristo infatti diviene egli stesso vittima pur essendo innocente e quindi ne svela l’arcano. In questo senso, Cristo non può che essere Dio: e l’unica fede possibile sarebbe quella dell’imitatio Christi. La Croce potrebbe così rappresentare “la fine dei miti violenti ed arcaici”, e si configurerebbe come un mimetismo inverso: non più rivalità per il riconoscimento, ma rifiuto del conflitto che ci avvicina, nel silenzio, a Dio.
Alcuni neuroscienzati (tra cui Andrew Meltzoff e Vittorio Gallese) hanno trovato nella scoperta dei neuroni-specchio una conferma a molte delle tesi girardiane, tuttavia l’accademico francese negli ultimi anni divenne maggiormente pessimista, osservando che la desacralizzazione dell’atto sacrificale implica una violenza sempre più incontrollata. Oltre a profetizzare il ritorno del “religioso” in forme più fondamentaliste del passato (con particolare riferimento al terrorismo islamico), negli ultimi testi giunse a prefigurare una visione apocalittica di violenza globale totalizzante che porta all’estremo la visione di Von Clausewitz contro ogni forma di riconciliazione di stampo hegeliano: non una sintesi razionale tra gli opposti, bensì una escalation incontrollata di violenza che conduce inevitabilmente all’annientamento totale delle parti. Le “primavere arabe”, che a suo avviso potevano prefigurare un cambiamento in senso ottimistico, si sono rivelate una parentesi di breve durata.
Difatti, egli ci invitò a riscoprire la dimensione del religioso – attraverso il meccanismo mimetico – perché potessimo cogliere in sottofondo la tendenza storica del nostro tempo. Morto Girard, l’analisi acuta e lucida dell’antropologo francese resta, in un mondo che l’ha talvolta bistrattato – anche in modo pregiudiziale per la sua fede cristiana – una valida chiave di lettura di cui noi tutti siamo eredi.
Vincenzo Fatigati e Piotr Zygulski