Poletti Laurea, la retromarcia del ministro e il mantra dei bamboccioni
Poletti Laurea: “prendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico meglio prendere un 97 a 21” ha detto ieri il ministro del Lavoro intervenuto al Salone Job&Orienta della Fiera di Verona. Ad alcuni sono corsi dei veri e propri brividi lungo la schiena a risentire i toni della mai compianta Elsa Fornero. D’altra parte, Poletti si è difeso con una nota dove ha precisato che “non ho mai pensato che i giovani italiani siano choosy o bamboccioni; anzi ho sempre espresso e continuo a nutrire molta fiducia in loro e i tanti incontri di ieri a Verona mi hanno confermato in questa convinzione. Penso anche che laurearsi presto e con buoni voti sia un’ottima cosa”. E ci mancherebbe altro.
Il mondo del lavoro è: “Laurea a 21 anni, wow! Ma è solo una triennale…” “Specialistica a 28 anni con lode. Facciamo 500 lordi?” #Poletti
— Cetty D. (@ItsCetty) 27 Novembre 2015
“Le mie valutazioni – ha continuato Poletti – erano riferite all’esigenza generale che la società italiana tutta, non i giovani, si chieda se il nostro modo di pensare la relazione tra l’organizzazione sociale, il sistema formativo, il lavoro e l’impresa sia adeguato ai nostri tempi e se offra ai nostri giovani le migliori opportunità per costruirsi un buon futuro”. Ancora una volta “ambizioso” Poletti, come quando a marzo al Palazzo dei Congressi di Firenze disse che tre mesi di vacanze estive per gli studenti sono troppi.
#Poletti ha ragione: meglio laurearsi presto. A 21 anni ci si accontenta più facilmente di stage sotto pagati, a 28 anni meno. — SatirSfaction (@SatirSfaction) 27 Novembre 2015
“Ho riportato, probabilmente in modo troppo crudo, le osservazioni che mi fanno quotidianamente sia le persone che si occupano di ricercare e selezionare le persone per le imprese del nostro Paese, sia molti giovani che fanno esperienze internazionali, secondo cui in Italia si esce mediamente più tardi dal sistema formativo e questo rappresenta una limitazione delle opportunità per i giovani” ha detto Poletti, difendendosi strenuamente, anche se ormai la frittata era fatta (e forse anche un pò fredda).
#Poletti: “Laurearsi a 28 anni con 110 e lode non serve”. Piuttosto imparate da lui a frequentare la gente giusta.. pic.twitter.com/48ydadJEgJ — MC79 (@Virus1979C) 27 Novembre 2015
“Ho registrato che, in qualche caso, si è ironizzato sul fatto che io non sono laureato – quindi, si è pure offeso – informo gli interessati che ho lavorato fino dall’infanzia, anche durante gli studi, e che ho interrotto l’università, dopo avere sostenuto venti esami studiando di notte. All’arrivo del secondo figlio ho scelto di dedicarmi al mio lavoro e alla mia famiglia. Una scelta che mi è pesata ma che sono felice di aver fatto perchè mi ha dato molto più di una laurea”. Che dire? Alla faccia delle competenze, delle “skills” direbbe qualcuno più in alto di Poletti.
-Hai studiato i libri dell’università? -No, li ho solo un “po-letti”, tanto il Ministro dice che va bene #Poletti
— Federico Benedetti (@bombarda9) 26 Novembre 2015
Poletti Laurea: i dati OCSE sull’Università italiana
Forse è meglio tornare seri. Perché mentre gli studenti vengono bacchettati da un ministro “non laureato”, l’università italiana ha preso una batosta dall’OCSE di quelle che si ricordano finché si campa. Certo ci sono 2 buone notizie: nell’istruzione terziaria abbiamo un alto tasso di laureati di secondo livello (“Laurea” di 3 anni + “Laurea Specialistica” di 2 anni) e il 20% dei giovani italiani consegue una laurea completa al fronte del 17% della media OCSE.
Come si vede dal grafico dell’OCSE, però, i giovani italiani tra i 25 e i 34 anni in possesso di una Laurea Triennale hanno molte più difficoltà rispetto agli omologhi non italiani nel trovare un lavoro in Italia. Nel 2014 solo il 61,9% di essi risultava occupato (20% in meno rispetto alla media Ocse) a fronte dell’86,1% della Francia e dell’87,8% della Germania. Si parla del 25% in meno. Altro che crisi il problema: rispetto al 72,8% del 2000 abbiamo perso quasi l’11%. A ciò si aggiunga il fatto che il tasso di occupazione scende ulteriormente per i giovani che hanno genitori non laureati e che hanno meno probabilità di accedere ad una rete di relazioni sociali (leggi “raccomandazioni”). D’altra parte, andiamo peggio anche di Spagna e Grecia.
Leggendo il grafico sopra, invece, si scopre che il tasso di disoccupazione degli italiani in possesso di un’educazione terziaria tra i 25 e i 34 anni è quasi il doppio della media OCSE. Questa volta ci salviamo rispetto a Grecia e Spagna. Almeno, nel nostro paese ci sono più occupati tra i diplomati che tra i laureati: tradizionalmente anche e soprattutto da questo dato trae origine il “mantra dei bamboccioni”. Tuttavia, questa è una caratteristica da paese in via di sviluppo non da “terza” economia d’Europa. Sì, perché quella che si vuole considerare la terza economia d’Europa per l’Università spende solo lo 0,9% del Prodotto Interno Lordo, siamo quart’ultimi tra i 34 paesi OCSE. Siamo, invece, ultimi su 34 per numero di giovani laureati. Qua entrano in gioco le parole di Poletti: ma siamo sicuri che il problema siano gli studenti e non la mancanza di interventi organici e strutturali?