Elezioni Venezuela: l’epilogo del socialismo bolivariano
I principali membri della coalizione venezuelana Mesa de la Unidad Democrática (MUD), ovvero l’alternativa politica all’attuale governo di Caracas, hanno celebrato pubblicamente la vittoria elettorale di Mauricio Macri, eletto Presidente dell’Argentina nella scorsa settimana. “Oggi ha vinto la speranza in America Latina e la sua prossima destinazione sarà il nostro amato Venezuela!”. Così ha twittato Lilian Tintori, moglie di Leopoldo López, ovvero il leader dell’opposizione venezuelana. Questi è stato processato e condannato lo scorso settembre perché ritenuto responsabile degli incidenti scoppiati al termine di una manifestazione studentesca svoltasi nella capitale venezuelana nel febbraio 2014.
Hoy vencio la esperanza en Latinoamerica y su proximo destino es nuestra amada Venezuela! pic.twitter.com/6ZRgSxTMa3
— Lilian Tintori (@liliantintori) 23 Novembre 2015
Macri si è sempre dichiarato alleato dell’opposizione venezuelana, promettendo che, in caso di vittoria presidenziale, avrebbe fatto pressioni sul Venezuela provvedendo alla sua espulsione dal Mercosur per aver violato la cláusula democrática, in quanto responsabile per gli abusi e persecuzione degli oppositori. Tuttavia, le sue dichiarazioni sono state smentite poi dall’attuale Ministro degli Affari Esteri dell’Uruguay, Rodolfo Nin Novoa, il quale ha annunciato che non sussistono al momento le condizioni per un simile provvedimento.
Elezioni Venezuela: al voto il 6 dicembre
Intanto, il Segretario Generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), Luis Almagro ha condannato il processo elettorale del Venezuela, dove il prossimo 6 dicembre si svolgeranno le elezioni parlamentari. Almagro ha dichiarato che il partito al governo, Partido Socialista Unido de Venezuela (PSUV), avrebbe un “vantaggio sleale” grazie alla possibilità di utilizzare beni pubblici, di accesso ai media e di sospendere i politici dell’opposizione. Gli stessi membri dell’opposizione avevano persino ipotizzato che il Presidente Nicolás Maduro sospendesse le elezioni, ma Maduro ha garantito che le elezioni si svolgeranno in qualsiasi caso.
Dopo la morte di Hugo Chávez, il Venezuela è entrato in una fase segnata da una serie di proteste e dimostrazioni attribuite al livello di inflazione, violenza e povertà presenti nel Paese. Le proteste, inizialmente svolte in maniera pacifica, si sono particolarmente intensificate durante il 2014, facendo registrare numerosi scontri fra i manifestanti e le forze governative. Il governo ha accusato i manifestanti di essere guidati da leader fascisti e dall’influenza di Paesi stranieri capitalisti (in particolare, gli Stati Uniti); d’altra parte, i protestanti hanno accusato il governo di attaccare i manifestanti ricorrendo a gruppi di supporto (denominati colectivos), nonché di censurarli e arrestarli per motivi politici.
Le prossime elezioni parlamentari, quindi, rappresentano un’importante opportunità per l’opposizione che, nel corso degli ultimi dieci anni, ha lottato per raggiungere la possibilità concreta di una vittoria elettorale. Ciò che più risalta è la giovane età dei candidati, fra cui spicca Manuela Bolívar di Voluntad Popular, il partito di Leopoldo López, aggredita mesi fa da manifestanti sostenitori del governo. Curiosamente, suo padre è uno dei candidati per il partito di governo: “Hugo Chávez è venuto regolarmente a casa mia, e sono sempre stata circondata da chavisti, ma non sono mai stata uno di loro”, così ha commentato Manuela Bolívar. Come molti altri candidati dell’opposizione, Manuela fa parte di una generazione venezuelana pronta a lottare per dei cambiamenti concreti nel Paese, avanzando senza esitazioni delle riforme costituzionali che metterebbero fine al governo di Maduro. D’altra parte, i membri più anziani dell’opposizione come Henry Ramos Allup, rimangono più cauti e sono più interessati a migliorare l’attuale sistema dall’interno, anziché a capovolgerlo. Tuttavia, colmare il divario tra le parti non sarà facile, anche alla luce di quanto mostrano al momento i sondaggi: oltre il 68 per cento dei venezuelani preferisce un approccio radicale e vorrebbe che l’attuale governo terminasse il suo mandato anticipatamente.
Elezioni Venezuela: tante incognite
Dato che i sondaggi prevedono una loro larga vittoria, molti esperti si interrogano su quale sia il futuro del Paese, su come le forze dell’opposizione sfrutteranno il loro potere e se la loro unità sopravvivrà anche dopo loro vittoria. D’altronde, in caso di vittoria elettorale, c’è il rischio che gli intenti dell’opposizione collassino tra l’impazienza e la fragile proposta comune fra la componente moderata e quella radicale. Insomma, queste elezioni potrebbero da una parte dare un duro colpo all’attuale governo venezuelano, ma d’altra parte le divisioni interne all’opposizione potrebbero lasciare ancora il potere nelle mani di Maduro. A prescindere dall’esito, però, sarà necessario che presto si adottino politiche adeguate per affrontare la profonda crisi economica che sta attanagliando il Paese. Oltre al crollo dei prezzi del petrolio, l’elevato livello di inflazione, il basso tasso di crescita e la carenza di molti prodotti rappresentano le principali sfide per l’economia venezuelana. Il governo non ha esitato ad accusare i propri avversari politici, oltre che Paesi come gli Stati Uniti di aver intrapreso una “guerra economica” contro il Venezuela. Un evidente tentativo volto ad oscurare quelli che sono i reali limiti del sistema venezuelano: già prima della presidenza di Maduro, infatti, i governi che si sono alternati in Venezuela hanno commesso degli errori tentando, però, di colmarli con politiche alternative. Questa fase di bassa performance economica, infatti, è iniziata già alla fine degli anni Settanta, cioè vent’anni prima dell’elezione presidenziale di Hugo Chávez (1998). Ciò implica che ci sono profonde cause strutturali ai problemi economici del Venezuela, capaci di andare oltre le ragioni politiche.
Il Venezuela era considerato uno dei Paesi in rapida crescita e fra le economie più stabili della regione. Negli anni Settanta, il Venezuela è stato il Paese più ricco del Sud America, nonché uno dei 30 più ricchi del mondo con una produzione pro capite relativamente pari al 23 per cento. Eppure, dal 1975 la produzione pro capite del Paese è cresciuta a una media annua di appena lo 0,2 per cento l’anno. Ciò è dovuto al fatto che l’economia venezuelana ha dovuto affrontare gli effetti dello shock petrolifero: sebbene si supponesse che il Paese fosse in grado di reagire a tale shock, si evinse presto che il Venezuela non avesse la struttura economica adeguata per farlo.
Oggi il Venezuela è il 12o produttore di petrolio al mondo, e negli anni ha basato il suo modello di sviluppo sulla vendita del petrolio raggiungendo circa il 95 per cento delle esportazioni. Ciò permise a Chávez di promuovere politiche di distribuzione della ricchezza e di adottare politiche di nazionalizzazioni ed espropriazioni in tutti i settori. Tuttavia, negli ultimi anni sono riemersi i limiti strutturali dell’economia venezuelana, assai dipendente dal petrolio: infatti, la produzione concorrente di shale gas, la crisi del debito sovrano europeo, l’andamento dell’economia cinese e le relazioni diplomatiche tra gli Stati Uniti e l’Iran, hanno compromesso le importazioni di petrolio. Di conseguenza, il governo ha replicato stampando più moneta locale, ma ciò ha generato a sua volta un processo di iperinflazione che, secondo le fonti ufficiali, nel 2014 ha sfiorato il 70 per cento. Il tasso di cambio ufficiale USD/VEF è pari a 6,35 bolívares fuertes, ma la quotazione reale è legata al mercato nero ed è riportata sul sito Internet Dolar Today.
Confrontando i dati, ciò che emerge in particolare è la rapidità del crollo della valuta venezuelana, nonostante la recente introduzione del nuovo sistema di cambio SIMADI, che affianca quello ufficiale. Il SIMADI, infatti, avrebbe dovuto abbattere il mercato nero, permettendo ai venezuelani di ottenere dollari statunitensi a tassi fluttuanti, seppure con limitazioni sia in fase di accesso che operativo. Nel frattempo, il Banco Central de Venezuela non diffonde alcun dato macroeconomico dalla fine del 2014, segno tangibile dell’imbarazzo delle istituzioni venezuelane nel divulgare le cifre del proprio disastro economico e finanziario.
D’altra parte, il governo venezuelano giustifica la crisi economica facendo riferimento alla così cosiddetta “guerra economica”, ovvero un presunto complotto internazionale organizzato dagli Stati Uniti con il supporto di altri Paesi limitrofi, che secondo Maduro sarebbe la principale causa della crisi nella quale versa la nazione. Quello che è certo è che questa crisi sta spingendo il Venezuela verso uno stadio di povertà che, come legittima conseguenza, si manifesta nell’illegalità e nella violenza urbana. Oggi il Venezuela è il secondo Paese più violento al mondo: basti pensare, infatti, che soltanto nel 2014 si sono registrati circa 25’000 omicidi nel Paese. E tra i membri dell’opposizione, molti accusano il governo di essere stato responsabili di alcuni di questi omicidi, come quello di Luis Manuel Díaz, esponente locale di uno dei partiti d’opposizione. Segretario regionale di Acción Democrática a Altagracia de Orituco, Díaz è stato ucciso in un agguato mentre stava partecipando ad una manifestazione: degli uomini armati hanno aperto il fuoco da un’auto in corso contro di lui uccidendolo sul colpo. Nonostante le accuse mosse dall’opposizione, finora non c’è alcuna prova del coinvolgimento del governo sull’omicidio di Díaz.
In conclusione, il 6 dicembre sarà una data determinante per il futuro politico del Venezuela. La vittoria di una o di un’altra fazione condizionerà le scelte per risollevare la nazione, ma non sarà definitivamente risolutiva all’attuale condizione in cui versa il Paese. Di certo, sarebbe stato determinante individuare dei punti di contatto tra le forze di governo e quelle dell’opposizione al fine di fare fronte assieme alla pressante crisi, non solo economica, in cui versa il Paese sudamericano. Tuttavia, nonostante possa essere rivelarsi utile quanto meno nel breve periodo, questa soluzione non appare oggi percorribile considerando l’attuale tensione politica presente all’interno del Paese. Pertanto, il futuro del Venezuela è ormai appeso al voto del 6 dicembre.