Isis Turchia petrolio: quanto durerà il doppio gioco di Erdogan?
Isis Turchia petrolio: secondo le informazioni in possesso dell’intelligence russa, l’oro nero si sposta dai giacimenti siriani sotto il controllo dell’Isis verso il territorio di Ankara su “scala industriale”. Intervenuto a Parigi, in occasione della conferenza sul cambiamento climatico, Putin si è detto certo che, una settimana fa, l’aviazione turca ha colpito un Su-24 russo per “garantire la sicurezza dei percorsi attraverso cui transita il petrolio”. Erdogan ha subito risposto che è ben noto da quali paesi la Turchia compra il petrolio; nel caso in cui si dimostrasse che Ankara fa affari con l’Isis, il Sultano si dimetterà.
Isis Turchia petrolio: il doppio gioco di Erdogan
Recentemente Mowaffak Al Rubaie, deputato iracheno ed ex consigliere per la sicurezza di Baghdad, ha fornito dei dati interessanti sui rapporti tra il paese di Erdogan e vertici dello Stato Islamico. “Negli ultimi 8 mesi l’Isis ha guadagnato 800 milioni di dollari dalla vendita di petrolio iracheno e siriano alla Turchia – ha detto Al Rubaie – una volta passata la frontiera viene venduto alla metà del prezzo di mercato (15-20 dollari al barile, ndr)”. Secondo il deputato iracheno non c’è dubbio sul fatto che i servizi segreti di Ankara siano a conoscenza dello stretto legame tra uomini d’affari turchi e trafficanti dell’Isis. Teoricamente è possibile che le alte sfere politiche non siano a conoscenza dei particolari del commercio illegale, d’altra parte, è improbabile che non ne conoscano nemmeno l’esistenza.
‘Oxygen for jihadists’: #ISIS-smuggled oil flows through Turkey to intl markets – Iraqi MP https://t.co/k9dsXWnVDL pic.twitter.com/cSYWukNHMy
— RT (@RT_com) 29 Novembre 2015
A questo proposito, dal blog ZeroHedge hanno avanzato l’ipotesi che la stessa famiglia di Erdogan potrebbe essere coinvolta nel traffico di petrolio con l’Isis. Il terzo figlio del Presidente turco, Bilal Erdogan, proprietario dalla società di navigazione maltese BMZ, nel giro di 2 mesi ha acquistato due petroliere per costo totale di 36 milioni di dollari. Prima di evidenziare questo particolare, gli autori dell’inchiesta notavano come sarebbe conveniente, per nasconderne provenienza e acquirente, trasferire il petrolio di nave in nave fino ad arrivare a un approdo mediterraneo, dal quale sarebbe più semplice poi rivenderlo sul mercato internazionale.
Recep Tayip Erdogan’s son “BILAL ERDOGAN” with his ISIS brothers #StopTurkeySuppportOfISIS pic.twitter.com/5IBfXeFo9w
— Dilxaz Sofiyan (@Dilxazsofi) 20 Settembre 2014
Distruggere il mercato nero del petrolio equivale a strangolare l’Isis ma, al momento, solo la Russia ha deciso di colpire lo Stato Islamico dove fa più male. Dagli Stati Uniti si è deciso di non bombardare le infrastrutture petrolifere per evitare “danni ambientali”, almeno così ha dichiarato Micheal Morell, ex direttore della CIA, all’emittente televisiva PBS (altra spiegazione per questa “non-strategia” riportata da più fonti: non bisogna bombardare le infrastrutture petrolifere perché saranno fondamentali per la ripresa siriana una volta tolto di mezzo Assad). In realtà, è molto probabile che gli Usa abbiano lasciato campo libero all’alleato turco in Medioriente perché, al momento, sembra l’unico in grado di coordinare il fronte sunnita contro Iran, Siria e i libanesi di Hezbollah.
Secondo un’interessante editoriale di Riccardo Pelliccetti del Giornale, in cui si riportano anche le impressioni dell’analista Edward Luttwack, l’obiettivo primario di Erdogan nell’affaire siriano (la “speculazione” petrolifera sarebbe solo una danarosa conseguenza) è quello di appropriarsi della parte settentrionale del territorio di Damasco, per la precisione, della zona compresa tra Aleppo e Latakia (nei pressi della città si trova una base russa). Erdogan giustificherebbe tale pretesa espansionistica in base alla presenza di una minoranza turkmena (proprio i terroristi di questa etnia hanno rivendicato l’abbattimento del Sukhoi russo) nella regione. In sostanza, Erdogan vorrebbe trasformare una fetta di Siria nell’82esima provincia turca.
Perché Erdogan ha puntato Assad? Per colpire Hezbollah e dare così una spallata all’asse sciita (solido contrappeso alla coalizione sunnita) capeggiato dall’Iran. Indebolita Teheran, nessuno potrebbe più contrastare il “sogno” turco: diventare leader del mondo sunnita (ai danni dell’Arabia Saudita che con Teheran, appunto, non è mai riuscita a spuntarla). Ora, il finanziamento (oltre alla “supervisione” del transito dei foreign fighters, alle cure fornite ai jihadisti feriti etc…) dell’Isis è una parte fondamentale del piano per sconfiggere Assad (e i curdi che combattono i terroristi dello Stato Islamico); la Russia – tradizionalmente alleata dell’Iran – si è messa letteralmente “in mezzo” a questo progetto. L’abbattimento dell’aereo russo, non è opinione di pochi, voleva costituire nelle intenzioni di Erdogan il casus belli per portare la NATO al confronto diretto con Mosca; l’alleanza atlantica, però, non può sbilanciarsi a tal punto per la Turchia, almeno finché i rapporti economico-strategici con l’Isis saranno così evidenti (ed Erdogan continuerà a bombardare i curdi finanziati dagli Usa).