L’economia italiana non decolla, c’è il rischio di stagnazione secolare, tutti i dati
L’economia italiana non decolla, c’è il rischio di stagnazione secolare
Alcuni dati l’avevano fatto sospettare, a dispetto della narrazione nazionale sul segno più e sulla ripresa ormai realtà.
E’ vero che dopo tanti anni di recessione c’è voglia, e non solo tra politici ed imprenditori, di rialzare la testa, ma purtroppo la realtà è un’altra, e un segno che l’economia italiana non stesse accelerando, ma anzi rallentando di nuovo era ben leggibile nei report dell’ISTAT sul PIL del terzo trimestre e sull’occupazione.
L’aumento del PIL da un trimestre all’altro è stato dello 0,4% il primo trimestre 2015, dello 0,3% il secondo, e infine dello 0,2% il terzo. Una decelerazione di cui noi ci eravamo accorti, soprattutto in relazione a quanto accadeva in Europa, ma che sembrava aver preoccupato pochi
In realtà anche dal lato del lavoro sono cominciati degli allarmi, con due mesi, settembre e ottobre, in cui il numero degli occupati è diminuito, mentre era previsto un aumento, per quanto come sempre negli ultimi anni concentrato quasi esclusivamente tra i lavoratori più anziani.
Naturalmente mediaticamente è stato più forte l’annuncio che la disoccupazione sta diminuendo, anche se solo per l’aumento del numero degli inattivi, non propriamente una buona notizia.
Questi rallentamenti dell’estate-autunno dell’economia italiana finalmente sembrano aver fatto scattare l’allarme anche nella Confindustria, che con il suo Centro Studi l’ha ammesso, mettendo anzi in guardia verso un pericolo ancora maggiore
Economia italiana, per Confindustria un rallentamento quasi “inspiegabile”
Il Centro Studi di Confindustria, in passato molto allineato alla visione ottimista del governo Renzi, questa volta si mostra quasi impaurito dalle prospettive dell’economia italiana, in particolare ricorda tutti i fattori positivi che in teoria avrebbero dovuto provocare un’accelerazione della crescita, ma non è avvenuto:
– la fiducia di imprese e consumatori è ai massimi
– l’euro continua a essere molto debole rispetto al dollaro
– i tassi della BCE rimangono ai minimi
– il petrolio è pure ai minimi, nei giorni scorsi addirittura a 35 dollari al barile
Tutti questi fattori nel 2015 si sono intensificati portando a stime sul contributo esterno al PIL moto lusinghiere, fino al 1,87%, praticamente più del doppio di quanto si verificherà, e comunque in aumento anche per il 2016
Allora perchè la crescita del 2015 è prevista in ribasso dal 1% allo 0,8%?
Confindustria ammette che sia in parte un mistero, il che è già inquietante, ma in realtà abbozza delle spiegazioni, che valgono in parte per tutta l’economia mondiale vista in rallentamento:
– il tasso di risparmio, nonostante la risalita dai minimi di 2012-2013 non è ritornato ai livelli del 2008-2009, e questo naturalmente genera meno risorse per investimenti
Non a caso il credito ha registrato una flebile risalita dal minimo ma rimane a livelli che non possono sostenere una ripresa industriale come sarebbe necessaria per il nostro settore manifatturiero.
– Soprattutto è la produttività, ovvero il margine lordo operativo (MOL) delle imprese che è in declino. Secondo molti studi è quello che accadrà a livello internazionale nei prossimi 10 anni, in cui i profitti sono previsti in calo, in Italia è realtà, è sempre minore la quota del valore aggiunto che costituisce il profitto, e questo naturalmente non è un danno solo per l’imprenditore, ma soprattutto per la possibilità di realizzare investimenti.
– Una delle cause della bassa produttività, ma non l’unica, è il grande aumento de CLUP, il costo del lavoro per unità di prodotto, ovvero i lavoratori costano sempre più che negli altri Paesi in proporzione a quanto è stato prodotto.
L’Italia ha visto aumentare il costo del lavoro più di tutti anche nel periodo di crisi, proprio mentre negli altri Paesi in crisi, come la Spagna, si cercava di trattenerlo, e più che in Germania dove pure si trattava di una remunerazione della maggiore crescita economica.
Il non detto del Jobs Act è certamente anche questo, ovvero un tentativo di diminuire i salari in proporzione al prodotto, sperando che sia più il prodotto a salire che il salario a scendere, ma non c’è molto da illudersi, vista la restrizione graduale dei margini.
E così ora le previsioni sono queste:
Non si parla più di 1% per il 2015, per il 2016 non possono esserci certezze, pensando a come in passato le previsioni di crescita, in questo caso dell’economia mondiale, ma vale anche e soprattutto per quella italiana, si sono rivelate fallaci.