Arabia Saudita ed Iran: ecco i principali punti di attrito
L’uccisione di 47 prigionieri – tra cui l’imam sciita Nimr al-Nimr – decisa da Riyad ha fatto salire la tensione tra Arabia Saudita ed Iran, contribuendo a complicare relazioni bilaterali gelide ormai da tantissimo tempo. Ma quali sono i principali punti di attrito tra i due Paesi della regione mediorientale?
Arabia Saudita ed Iran: i punti di attrito
Possiamo racchiudere il conflitto tra Arabia Saudita ed Iran in diversi punti, strettamente interdipendenti tra loro e con un punto fermo e centrale: la competizione per la leadership dell’intero Medio Oriente. E’ infatti attorno alla pretesa di Riyad di mantenere una tale posizione e, per contro, alla rinnovata vitalità di Teheran – in particolar modo a seguito dello storico accordo sul nucleare – che ruota tutta la questione sul piano geopolitico. Con diverse implicazioni.
Arabia Saudita ed Iran: lo scontro religioso
Importante è, ovviamente, innanzitutto la questione religiosa, con lo scontro plurisecolare nel mondo islamico tra sunniti e sciiti. I primi, seguaci della “Sunna” – cioè la tradizione – rappresentano la stragrande maggioranza dell’Islam. I secondi – seguaci di Alì, cugino di Maometto, e sostenitori dell’idea, osteggiata dal sunnismo, che a guidare il mondo islamico potesse essere solo la discendenza diretta del profeta – sono la principale minoranza nel mondo musulmano. Arabia Saudita ed Iran ne rappresentano i principali esponenti “statuali” del mondo contemporaneo.
The Sunni-Shia Muslim divide (2010) pic.twitter.com/7HW6BYMlVb
— Maps From History (@mapsfromhistory) 26 Dicembre 2015
Arabia Saudita ed Iran: lo scontro economico
Non secondario è però lo scontro economico in atto tra i due Paesi. Se l’Arabia Saudita è il Paese geograficamente più esteso dell’area mediorientale, l’Iran è tra i 3 Paesi più popolati, insieme ad Egitto e Turchia.
Come già accennato in precedenza, ad inasprire ulteriormente lo scontro ha contribuito l’accordo sul nucleare stipulato nei mesi scorsi a Losanna e fortemente voluto dal presidente statunitense Barack Obama. Un accordo figlio di lunghissime trattative, che ha come obiettivo sostanziale il pieno reinserimento di Teheran nella comunità internazionale, con un ruolo di prim’ordine nello scenario geopolitico.
Il ritorno iraniano sulle scene è da intendersi, ovviamente, anche sul versante della produzione di petrolio. Il progressivo stop all’embargo incrementerà considerevolmente gli introiti di Teheran nel settore: il Quartz, nei giorni dell’intesa di Losanna, stimava l’aumento in 1.6 miliardi di dollari al mese.
In concreto, il rientro in scena dell’Iran dovrebbe produrre un’inevitabile aumento dell’offerta di oro nero, già oggi superiore alla domanda globale dello stesso. Contribuendo al mantenimento di un basso livello dei prezzi, in aggiunta alla strategia portata avanti dall’OPEC, che prosegue una guerra di nervi geopolitica – contro l’Iran e la Russia ma anche contro i produttori di shale gas – che già oggi rischia di mettere a serio rischio le finanze di Riyad.
Un ulteriore aspetto che coniuga economia e religione è la destinazione degli introiti. Il timore di Riyad è infatti quello che il nuovo flusso di entrate – o parte di esso – possa essere destinato da Teheran per il sostegno delle rivendicazioni delle comunità sciite sparse per il mondo. Lo Yemen – con il sostegno iraniano alle milizie houthi – ed Hezbollah in Libano ne sono un esempio. L’esecuzione di Nimr Al-Nimr è invece la risposta diretta di Riyad, un “nessuno spazio a chi cerca di destabilizzarci” che rappresenta la nuova puntata di un conflitto che rischia di infiammare definitivamente il Medio Oriente.