Elezioni europee: le conseguenze del voto in Scandinavia
I conservatori soffrono, gli euroscettici avanzano, i socialdemocratici rincorrono. In poche parole, tante conferme e alcune sorprese. Le elezioni europee in Scandinavia restituiscono un quadro politico che sta cambiando e che potrebbe avere un impatto sui governi in carica.
In Finlandia nessuna sorpresa dalle urne, solo numeri che consolidano il quadro politico. Il primo dato: i socialdemocratici sono ormai la quarta forza del paese (12,3 per cento), dietro al Partito dei Finlandesi (12,9), conversatore ed euroscettico. “Abbiamo ricevuto un pugno in faccia” ha commentato Antti Rinne, da poco leader del partito socialdemocratico e neo ministro delle Finanze. Il Partito di Coalizione Nazionale del primo ministro Katainen resta il più votato (22,6 per cento) mentre il Partito di Centro (19,7 per cento) si conferma la principale forza di opposizione. Niente che non sia già stato ampiamente discusso a Helsinki nei mesi scorsi.
Per l’Europa, il voto finlandese è una buona notizia: la maggioranza degli eurodeputati appena eletti non va a Bruxelles per stravolgere le politiche chiave dell’Ue.
Così come in Italia, anche a Helsinki le elezioni europee sono state vissute come un test sul governo nazionale. “La Finlandia è in cattive condizioni e queste elezioni possono rappresentare una sorta di valutazione sui risultati raggiunti dal paese sino a oggi” aveva dichiarato alla vigilia del voto Juha Sipilä, il leader del partito di Centro. Stessa opinione per Rinne: “molte persone in effetti hanno voluto discutere dei problemi della Finlandia, delle decisioni dell’attuale governo. Non c’è stato un grande dibattito su temi europei”. Le ripercussioni sugli equilibri politici nazionali potrebbero però essere modeste.
Qualche sorpresa in più è arrivata dalla Svezia dove i Verdi hanno ottenuto il 15,3 per cento e si sono piazzati in seconda posizione alle spalle dei socialdemocratici (24,5). I grandi sconfitti sono stati i Moderati del primo ministro Reinfeldt, scesi al 13,6 per cento: la peggiore performance nella storia delle elezioni europee. “La gente ci ha lanciato un messaggio chiaro” ha ammesso Reinfeldt. Ha ragione. Gli svedesi hanno confermato ciò che i sondaggi dicono da tempo: prevale nel paese la sensazione di essere governati da un esecutivo stanco e dal messaggio politico incerto.
A Bruxelles entrano per la prima volta europarlamentari dei Democratici Svedesi (estrema destra, euroscettici: per loro 9,7 per cento) e di Iniziativa Femminista (5,3), autore di una scalata impressionante nelle ultime settimane.
Gli effetti sullo scenario politico? Anche in questo caso assai modesti: “Nessuno sarà particolarmente contento o particolarmente depresso per risultati simili” ha spiegato al The Local l’analista politico Nick Aylott. Archiviata questa partita, la Svezia si prepara a tirare brevemente in fiato prima di correre verso le elezioni politiche di settembre, il vero appuntamento dell’anno.
È in Danimarca che le elezioni europee hanno prodotto lo scossone politico più forte. Il Partito Popolare Danese che fa delle critiche all’Ue e della lotta all’immigrazione due marchi di fabbrica ha ottenuto un risultato clamoroso: 26,6 per cento. Lontani i socialdemocratici che governano il paese (19,1) e lontanissimi i liberali dell’ex premier Rasmussen, precipitati al 16,7 per cento. “Cercheremo di costruire un’Europa che trovi soluzioni per il commercio, per lo sviluppo, per l’ambiente, per l’energia, non un’Europa che interferisca su tutto” ha commentato Morten Messerschmidt, del Partito Popolare Danese.
A Copenhagen si guardava a questa tornata elettorale per capire la concretezza dei segnali di cambiamento nel quadro politico intravisti nelle scorse settimane. La risposta è stata chiara: erano segnali estremamente concreti. I danesi non hanno più remore a votare il Partito Popolare Danese, un partito che nel corso degli anni ha saputo affinare politiche e linguaggi. I socialdemocratici invece hanno confermato le difficoltà senza però affondare: la loro capacità di tornare sempre e comunque anche dopo le sconfitte sarà fondamentale da qui in avanti.
È il Partito Liberale quello con i problemi più grossi. Per il veterano Christian Mejdahl si tratta della peggiore crisi della storia del partito: “Non ricordo nulla di simile”, ha dichiarato. Tanti nel partito vogliono la testa di Rasmussen, già travolto nei mesi scorsi da una serie di scandali e messo più volte in discussione. Quattro elettori su dieci pensano che a questo punto Rasmussen debba fare un passo indietro. Uno su tre vorrebbe Søren Gade sulla poltrona di leader.