In Italia meno libertà di stampa: è tutta colpa di Renzi?
Libertà di stampa, l’Italia scende alla 77esima posizione. Può essere colpa del governo?
Soprattutto su Internet, ha avuto molta eco il calo dell’Italia nella classifica della libertà di stampa curata da Reporters Sans Frontières, organizzazione non governativa fondata nel 1985 e accreditata nelle maggiori sedi internazionali, a partire dall’ONU, tuttavia non esente da critiche per via delle metodologie propagandistiche e delle più o meno velate finalità politiche. Tra le varie osservazioni, a RSF viene rimproverato il fortissimo accanimento contro Cuba e il Venezuela e l’accondiscendenza nei confronti degli Stati Uniti d’America; ad esempio lo scrittore francese Maxime Vivas sostiene di aver provato i legami tra RSF e la CIA americana nella sua inchiesta La face cachée de Reporters sans frontières: de la CIA aux faucons du Pentagone (Éditions Aden, 2007). Inoltre, uno dei fondatori di RSF, Rony Brauman, ha abbandonato l’organizzazione per via dell'”opacità finanziaria” da lui denunciata.
Ad ogni modo, venendo ai dati, l’Italia nell’arco di un anno perde ben 4 posizioni nella classifica mondiale, e si colloca ora 77a, sotto il Lesotho, l’Armenia, il Nicaragua e la Moldavia. Peggio di noi, nell’Unione Europea, troviamo solo la Grecia (89a) e la Bulgaria (113a). L’Italia avrebbe un “abuse score” pari a 38,29 e un “underlying situation score” del 26,59. Il punteggio complessivo per la nostra nazione quest’anno è di 28,93, mentre lo scorso anno era di 27,94; più alto è, più siamo messi peggio. Ma come funziona questa graduatoria, e com’è stato costruito l’indice?
Il calcolo della classifica della libertà di stampa
Innanzitutto Reporters Sans Frontières predispone ogni anno un questionario online (scaricabile qui in inglese) articolato in 87 domande e tradotto in 20 lingue, il quale viene compilato, per ciascuno dei 180 paesi del mondo, da professionisti dell’ambito dei media, da avvocati e da sociologi. I punteggi finali combinano i risultati di tali questionari e i dati sulle violenze e gli abusi avvenuti contro i giornalisti nell’anno di riferimento.
Le 87 domande vanno a determinare i 6 seguenti indicatori:
- Pluralismo [scorePlur], misura il grado di rappresentazione delle opinioni nello spazio mediatico;
- Indipendenza dei media [scoreInd], misura il grado in cui i mezzi di informazione sono in grado di lavorare in modo indipendente dalle autorità;
- Ambiente e autocensura [scoreEA], analizza l’ambiente nel quale i giornalisti lavorano;
- Quadro legislativo [scoreCL], analizza la qualità del quadro legislativo e ne misura l’efficacia;
- Trasparenza [scoreTra], misura la trasparenza di istituzioni e procedure con effetti sulla produzione di notizie e informazioni;
- Infrastruttura [scoreInf], misura la qualità dell’infrastruttura a sostegno della produzione di notizie e informazioni.
Vi è poi un settimo indicatore [scoreExa] che si basa sui dati raccolti nell’anno di riferimento sugli abusi e gli atti di violenza contro i giornalisti e i mezzi di comunicazione. Tutti e 7 gli indicatori possono variare da 0 a 100.
RSF calcola due punteggi, ScoA (underlying situation score) e ScoB: ScoA si basa sui primi 6 indicatori, ScoB su tutti e 7. Tra i vari indicatori, il peso maggiore è attribuito al pluralismo, anche per ScoB, ma su di esso quello degli abusi ha un peso abbastanza significativo. Il punteggio definitivo finale è il più grande tra ScoA e ScoB, per evitare – a detta di RSF – di attribuire punteggi migliori ai paesi dove il controllo sui giornalisti è così elevato che non avvengono quasi atti di violenza contro di essi.
Il coefficiente K di ponderazione si basa sulla durata della detenzione dei giornalisti (professionisti e non) e può andare da 10, per un periodo inferiore all’anno, a 90 se si superano i 10 anni di carcere, passando per 80, se essi devono scontare una pena di 5 anni.
Nel caso dell’Italia, è proprio l’elevato numero di abusi nei confronti dei giornalisti (scoreExa pari a 38,29) – che ci pone 52esimi nella lista tra le nazioni in cui si verificano maggiormente – ad aver incrementato il punteggio di ScoB, dal momento che ScoA nel 2016 è pari a 26,59. Perciò il risultato finale è di 28,83, una cifra superiore (e quindi peggiore) al 27,94 conseguito lo scorso anno; questo ha permesso al Lesotho e all’Armenia, che pure hanno leggermente deteriorato il loro punteggio per via della situazione interna, di scavalcare il nostro paese.
Va precisato comunque che l’aumento del punteggio di 0,98 punti è inferiore al deterioramento della situazione nella media degli altri paesi europei: in Germania la variazione è di oltre tre punti (-4 posizioni); in Francia (-3 posizioni) e in Svezia (-7 posizioni) di poco meno. Migliora invece vistosamente la Svizzera, che scala ben 13 nazioni mondiali nell’arco di un anno.
Le minacce alla libertà di stampa in Italia: giornalisti sotto scorta e Vatileaks
A leggere la classifica, molti hanno indicato il Governo Renzi tra i responsabili della situazione italiana, tuttavia il commento di Reporters Sans Frontières è il seguente:
Il quotidiano La Repubblica ha censito a maggio 2015 tra i 30 e i 50 giornalisti sotto protezione della polizia dopo le minacce subite. Il livello di violenza contro i giornalisti (intimidazione verbale o fisica, minacce di morte … ) è molto preoccupante. Coloro che indagano contro la corruzione e la criminalità organizzata sono l’obiettivo principale. In Vaticano, la giustizia attacca la stampa per gli scandali Vatileaks e Vatileaks 2. Due giornalisti rischiano 8 anni di carcere per aver pubblicato i libri che svelano gli sprechi della Santa Sede.
La retrocessione più significativa, per il nostro Paese, è avvenuta però tra il rapporto 2014 e quello del 2015, quando l’Italia era precipitata dal 49esimo posto al 73esimo, dopo aver tenuto in considerazione il numero di giornalisti (allora una dozzina) che vivono sotto scorta, basandosi sulle analisi di OSSIGENO per l’Informazione, l’Osservatorio sui giornalisti minacciati e le notizie oscurate in Italia promosso dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e dalla Federazione Nazionale Stampa Italiana.
Le querele intimidatorie ostacolano il lavoro dei giornalisti d’inchiesta
Oltre a ciò, RSF osservava che “la battaglia per libertà di informazione in Italia si gioca anche nei tribunali”, evidenziando non solo le aggressioni fisiche, ma anche le querele temerarie per diffamazione, spesso provenienti da personaggi politici. Questo si va a innestare in un contesto di leggi carenti e inadeguate che permette la proliferazione di richieste risarcitorie miliardarie per intimidire i giornalisti – in particolar modo se non tutelati da un editore che possa sostenere le spese legali – che indagano su tematiche “scomode”, come appunto quelle legate alla corruzione e alle mafie.
In moltissimi casi, come raccontava anche Amalia De Simone al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia due settimane fa, le sentenze stabiliscono l’innocenza del giornalista, ma con una perdita di tempo e una “spada di damocle” che può pendere anche molti anni; forse sarebbe auspicabile una legge che garantisse un risarcimento al giornalista chiamato in giudizio pretestuosamente (o preventivamente) per ostacolare la sua attività, oppure un sistema su cauzione – tipico dei paesi anglosassoni – che impone a chi sporge querela di depositare contestualmente una somma, proporzionata alla richiesta di risarcimento, che deve essere versata all’accusato qualora quest’ultimo dovesse vincere la causa. La soppressione del carcere per i giornalisti, che apparentemente può essere una buona cosa, può invece contribuire a far lievitare le somme richieste a titolo risarcitorio. Lo scorso anno il direttore di Ossigeno, Alberto Spampinato, si esprimeva in questi termini, a proposito del calo dell’Italia:
Non ci fa piacere, ma è giusto: quando ci si misura la febbre è bene sapere veramente quanto è alta. Ingannare il termometro serve a fare bella figura, ma non a curarsi e a guarire. Lo stato di salute del nostro paese riguardo alla libertà di stampa è molto precario e non solo per il conflitto d’interessi e la concentrazione delle testate e il controllo politico dell’informazione televisiva pubblica. Dobbiamo cominciare ad ammetterlo. La diffusione delle minacce, delle intimidazioni, l’abuso delle querele per diffamazione a scopo intimidatorio, le aggressioni sono purtroppo all’ordine del giorno. I giornali non ne parlano, la politica non se ne occupa, ma i cittadini sono defraudati di molte notizie importanti e il nostro piccolo osservatorio segnala più di un grave episodio al giorno. Fino a quando si potrà continuare a fingere di non vedere questa malattia che si espande? Gli altri paesi europei, che oggi guardano l’Italia come un caso atipico, esecrabile, quando cominceranno a farsi le analisi a cui Ossigeno ha sottoposto l’Italia? Speriamo presto, perché le malattie contagiose non si possono curare in un paese solo.
Non è (solo) colpa dei governi
Insomma, è tutta colpa di Renzi? Ovviamente no, perché, come abbiamo visto, il punteggio complessivo – e la collocazione in classifica – dipendono da molti fattori che non sono sotto il diretto controllo governativo, come ad esempio le minacce da parte della criminalità organizzata. Però sicuramente la recente uscita del Presidente del Consiglio contro i giornalisti televisivi, che ha incontrato una secca replica di Enrico Mentana, può essere un segno di quella “forma di paranoia” contro i giornalisti che affligge molti leader mondiali e che ha contribuito ad un peggioramento generalizzato della libertà di stampa, soprattutto in Europa.
Nel 2016 è la Polonia a scivolare nella classifica al 47esimo posto, perdendo ben 29 posizioni a causa della legge, recentemente approvata, che consente al governo di nominare direttamente i vertici della televisione pubblica. Questo provvedimento, che secondo RSF mette in pericolo il pluralismo e la libertà di stampa, in qualche modo però fa avvicinare la Polonia all’Italia, dove 7 membri del Consiglio di Amministrazione RAI sono designati dalla commissione parlamentare di vigilanza e altri 2 dal Ministero dell’Economia e delle finanze, che detiene il 99,56% dell’azionariato; inoltre la riforma in vigore da gennaio ha rafforzato i poteri del Direttore Generale / Amministratore Delegato della RAI.
Ecco, questo, e altri segnali, sembrano non andare in direzione di un maggiore pluralismo, così come inteso da Reporters Sans Frontières, i cui metodi possono essere apprezzati oppure rifiutati, ma comunque sono abbastanza espliciti. Quello dell’accentramento dei poteri nella massima dirigenza della RAI è solo uno dei fattori che, sul medio-lungo periodo, se non compensati da provvedimenti di segno opposto a tutela della libertà e (dell’incolumità) dei giornalisti, potrebbero contribuire ad un calo ulteriore della posizione dell’Italia nelle future classifiche.