Nonostante il Jobs Act, non c’è nulla da fare, le aziende preferiscono assumere a termine
Nonostante il Jobs Act, non c’è nulla da fare, le aziende preferiscono assumere a termine
Gli ultimi dati pubblicati dall’INPS sono chiarissimi. Con il dimezzamento degli incentivi alle assunzioni a tempo indeterminato, che consistono nel pagamento da parte dello Stato dei contributi per i nuovi assunti per 3 anni, le aziende tornano, o meglio aumentano, la preferenza per il contratto a termine.
Si ritorna ai livello del 2014, prima del Jobs Act
Il report INPS si occupa dei primi tre mesi del 2016, messi a confronto con gli stessi del 2015 e del 2014. Ebbene, sembra esserci un ritorno al passato.
Se guardiamo i dati sulle assunzioni totali, vediamo che a gennaio, febbraio, marzo di quest’anno siamo ritornati sui numeri di due anni fa.
A marzo le assunzioni sono state 380 mila, ben 62 mila meno dell’anno scorso, ma anche 17 mila meno del 2014. Un andamento simile vi era stato a gennaio e febbraio.
Ma a cosa è dovuto tutto questo? Beh appare chiarissimo. Sono tutte assunzioni in meno a tempo indeterminato.
Queste a marzo sono calate di ben 65 mila unità, da 166 mila a 101 mila. Cali di 40 mila e 57 mila c’erano stati anche a gennaio e febbraio
Il problema principale però è che c’è un calo anche rispetto al 2014, quando ancora eravamo in recessione e il Jobs Act non era ancora in vigore.
Si tratta ancora della compensazione delle assunzioni del 2015, in particolare di dicembre, quando molte aziende avevano trasformato vecchi contratti o anticipato assunzioni di personale che magari avrebbero fatto quest’anno (quando di conseguenza ne risultano meno)? Oppure è segno di un rallentamento dell’economia?
Per ora è probabile un mix delle due motivazioni. Molte aziende hanno già concentrato nel 2015 le assunzioni programmate e la crescita dell’1%, se non accompagnata da un calo dei salari e se si vuole aumentare la produttività, non permette certo un aumento occupazionale.
A contrario l’andamento delle assunzioni a termine appare molto più stabile, il che è positivo per il 2015, quando evidentemente l’aumento delle assunzioni a tempo indeterminato non aveva provocato un calo di quelle a termine, ma per il 2016 indica una stagnazione, considerando anche che rispetto al 2014 ci sono addirittura dei cali, per esempio a gennaio e marzo
Ancora più importante è osservare però il saldo tra assunzioni e licenziamenti, perchè poco ci faremmo di avere più assunzioni se aumentano anche i licenziamenti. Per fortuna non è quello che sta accadendo. Il paventato aumento delle dismissioni di lavoratori, in stile inglese e americano, come temevano molti osservatori, soprattutto a sinistra e tra i sindacati, non sta avvenendo. Il saldo positivo o negativo dipende più dal numero di assunzioni.
E per il 2016 vediamo un ritorno al vecchio modello che ritroviamo all’inizio del 2014 con lievi variazioni dei contratti a tempo indeterminato, + 9 mila a marzo, un saldo negativo a febbraio, cifre decisamente più basse di quelle dei saldi delle assunzioni a termine, positivi per 56 mila a marzo e anche di più a gennaio e febbraio.
Il 2015 era stata un’altra storia, con i saldi dei contratti a termine addirittura negativi da agosto in poi, ma comunque per tutto l’anno inferiore di quelli a tempo indeterminato.
Siamo di nuovo in una situazione di “old normal”, come a inizio 2014, appunto, Se escludiamo la seconda parte dello stesso anno, molto negativa.
Come sempre il Sud più colpito dal calo delle assunzioni
Come sempre accade i fenomeni economici non si presentano in modo omogeneo, e il calo delle assunzioni totali, e in particolare di quelle a tempo indeterminato stanno colpendo in particolare il Mezzogiorno.
-45%-46% in Abruzzo e Umbria le assunzioni a tempo indeterminato, -37% nel Lazio, in Puglia, Friuli. Se la cava meglio la Lombardia, “solo -30%”.
La differenza si vede meglio nelle assunzioni totali. In Basilicata calano del 23%, mentre solo del 7-8% in Trentino e Veneto, colpita duramente anche la Calabria, -20%
Si tratta di un fenomeno in fondo chiaro. Le aziende che maggiormente nelle assunzioni da fare o non fare guardano al costo e quindi a incentivi momentanei sono quelle piccole e medie, attività nel campo dei servizi, delle costruzioni, più presenti al Meridione. In generale quelle più sensibili alle congiunture del mercato e meno attrezzate davanti ai rovesci dell’economia.
E non c’è però solo questo aspetto. Dagli ultimi dati dell’INPS vediamo per esempio un balzo degli stipendi medi dei nuovi assunti a tempo indeterminato, che salgono a 2 mila euro lordi, mentre quello dei nuovi lavoratori a termine rimangono fermi.
E’ chiaro che stanno mancando proprio le assunzioni di quei lavoratori meno specializzati e meno costosi che gli incentivi volevano favorire.
E’ evidente come in questo caso non è una maggiore licenziabilità che è decisiva, ma il costo. Un costo che considerando non solo il cuneo fiscale, ma anche gli indennizzi, aumentati con il jobs act, in caso di licenziamento, rimangono alti.
Insomma, tra contratto a termine e contratto a tempo indeterminato è una questione di costi di licenziamento, assenti nel caso di contratto a termine, e non solo, e poi di forza contrattuale del dipendente.
La tipologia di contratto, a parità, di costo è anche una sorta di premio e di pagamento non monetario che viene dato al dipendente più ambito e necessario. Si tratta di cambiare la mentalità, oltre che di diminuire i costi, “sposare” un dipendente diventa sempre più un atto non scontato e se possibile evitabile per molti imprenditori