Non solo Brexit: un’analisi del crescente euroscetticismo
Non solo Brexit: un’analisi del crescente euroscetticismo
Disgregazione interna, sorveglianza comunitaria sotto pressione, unità d’intenti politici ancora lontana, crisi economica non del tutto alle spalle, crescita lenta, nuove transumanze migratorie e recalcitranti nazionalismi di stampo populista. Questi i fattori principali di tensione e crisi di consenso che assillano l’organismo d’Europa per come oggi lo conosciamo. Una analisi condotta dalla Fondazione David Hume per il Sole 24 Ore rende note alcune serie storiche preoccupanti, le quali certificano una disaffezione diffusa nei confronti delle istituzioni europee principali (Commissione, Banca centrale, Consiglio e Parlamento), da parte non soltanto di quei paesi che sono entrati a far parte recentemente della comunità, ma soprattutto da parte di quelle nazioni che rappresentano lo “zoccolo duro” dei valori di fondazione e genesi storico-politica dell’intera Unione europea. Parliamo di Germania, Francia e Italia.
L’Europa perduta: da Ventotene all’euroscetticismo
Nel 1941 Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, nel programma esplicitato all’interno del Manifesto di Ventotene, immaginarono una federazione di Stati, uniti alla ricerca di una nuova dimensione sovranazionale, una Europa mater, connessi tramite i collanti fondamentali di una comune organizzazione politica solidale, una economia sostenibile supportata da una integrazione sistemica e da una libera circolazione di capitali, merci, idee e persone.
Cercando di approfondire il dossier dell’Istituto di ricerca circa il senso comune dell’Unione europea dei 28, ci si accorge della distanza siderale e fattuale, sedimentata e stratificata negli anni, che ha lasciato quella visione di Ventotene nel cassetto, in favore di un galoppante euroscetticismo caparbio, ostinato e ciclico. Chi sono gli euroscettici oggi?
Non solo Brexit: Europa ed antieuropeismo
Il termine “euroscetticismo”, nella storia del XX secolo nato all’interno delle grandi aree geografiche del Nord Europa, si forma e rinvigorisce i suoi canoni negli ambienti intellettuali della borghesia britannica. Deve inoltre le sue fortune alla vasta diffusione lessicale fornita dalla stampa d’oltre Manica. Tuttavia, dal 1980 in poi, esso diviene accordo comune, sfiducia collettiva e poi distacco politico dalle istituzioni di rappresentanza.
Secondo la ricerca portata avanti dalla fondazione David Hume, e pubblicata dalle colonne del quotidiano di Confindustria, la percentuale degli euroscettici all’interno dell’Europarlamento, con matrice politica affine alle ideologie di destra, corrisponde oggi al 22,2 per cento dei seggi contro il 14,7% della prima seduta comunitaria del 1979. Viceversa, i deputati euroscettici di sinistra registrano una percentuale calante: 11,1% alla fine degli anni settanta, 7,2 per cento al presente.
Nel corso del tempo il peso politico dell’emiciclo si è nettamente spostato verso le posizioni della destra conservatrice, si pensi al Partito popolare europeo. Tale dato risulta dunque più incisivo, se letto alla luce della percentuale odierna degli scranni occupati dalle forze reazionarie.
L’Europa con gli occhi degli europei
Quando si parla di Europa, come reagisce la collettività?
Secondo il diritto comunitario il Parlamento è l’unico organo consiliare eleggibile dai cittadini dei singoli Stati componenti l’Unione europea, dunque l’unica fonte politica in grado di accogliere il voto ed il consenso degli elettori che rappresenta. Dai dati della Fondazione Hume emerge un disinteresse generalizzato circa l’importanza delle elezioni europee. Disinteresse mutuato da una immagine di un Parlamento sempre più vissuta come aleatoria, metafisica, lontana dai bisogni reali e concreti dell’avente diritto al voto. Ecco cosa leggiamo nelle pagine dello studio in questione: “I tassi di partecipazione elettorale piuttosto contenuti dei nuovi membri sembrano rivelare che per una buona parte dei cittadini l’elezione del Parlamento europeo non sia esattamente vissuta come un’opportunità rilevante per il proprio destino”. In Italia quasi il 40% dei cittadini si dichiara insoddisfatto della grande Camera di Strasburgo.
Su una scala di gradimento da uno a cinque, nel periodo compreso tra il 2004 ed il 2015, la reputazione delle istituzioni europee è calata in 19 paesi su 28. Il peggior crollo negli indici di consenso è avvenuto in Grecia, figlio naturale dei tre programmi forzati di risanamento economico. Eppure sensibili peggioramenti delle proiezioni sono stati registrati anche in Germania, Spagna e Francia.
Riccardo Piazza