Brexit: alcuni scenari distopici in salsa europea
Brexit: alcuni scenari distopici in salsa europea
Parecchia stampa internazionale, con buona pace del flusso di (in)coscienza dell’agenda pubblica globale e della stabilità politica ed economica continentale, sta da tempo esercitandosi nelle più disparate circonvoluzioni statistiche circa le percentuali dei favorevoli e dei contrari in merito al referendum che domani chiamerà alle urne il Regno Unito. Nonostante l’inasprimento esacerbante dei toni di una campagna di comunicazione ai limiti dell’ossessione psicopatologica e della violenza cieca, si veda l’uccisione del deputato laburista Cox, i flussi del consenso riguardanti le due opzioni in ballo, uscita della Gran Bretagna dalla Unione europea (Brexit) e permanenza all’interno del sistema comunitario, rimangono ad oggi di difficile predizione pseudoscientifica. Più facile allora, e forse neanche tanto, concentrarsi su ciò che l’Europa, dal 24 di giugno, indipendentemente dai risultati del referendum, sarà costretta a negoziare nuovamente con Londra e con le sue istituzioni interne. Sulla base di ciò torna utile dar conto dei tempi di attuazione specifici di alcuni eventuali cambiamenti basilari dei Trattati europei ad oggi vigenti, nonché di alcuni possibili scenari distopici, e distopici lo sono perché effettivamente poco desiderabili e convenienti, ma, differentemente dal 1984 di Orwell, non poi così apocalittici.
Brexit: i rapporti tra Londra e Bruxelles
La Gran Bretagna gode di un regime d’appartenenza all’Unione unico nel suo genere. Appartiene infatti alla Comunità Europea, ma non all’unione monetaria. Alla fondazione dei Trattati di Maastricht, nel 1992, gli Stati contraenti decisero quali dovessero essere i parametri cui uniformare nel tempo le diverse economie alla bilancia commerciale del libero mercato unitario. Vennero stabilite le soglie di riferimento, il rapporto del deficit/Pil entro il 3 per cento ed il rapporto del debito pubblico sul Pil al di sotto del 60%. Si diede avvio alla diffusione della valuta unica ma non all’integrazione bancaria e fiscale con la condivisione dei debiti sovrani e le garanzie comuni sui depositi. Per quelle, stiamo ancora oggi attendendo.
In questi anni Londra è sempre rimasta ai margini del sistema pur mantenendo una forte capacità di influenza sui mercati finanziari, il London Stock Exchange è il gruppo proprietario della Borsa Italiana. Inoltre la forza di un impero commerciale, quello che un tempo fu il Commonwealth, ancora sostenibile, seppur uscito profondamente ridimensionato dall’epoca postcoloniale, ha permesso al Regno Unito di godere di un effettivo potere decisionale anche nelle aule comunitarie di Bruxelles e di Strasburgo.
Ciò nonostante, non tutta la classe imprenditoriale inglese sembra incline ad una prospettiva isolazionista. Il quotidiano The Times, ha pubblicato una lettera firmata da più di 1200 esponenti del mondo degli affari britannico: in tale documento, gli industriali espongono alcune motivazioni di merito a favore della permanenza del Paese all’interno dell’Unione europea. Per converso, le maggiori motivazioni che spingono i fautori dell’uscita completa dall’Unione, nella estrema sintesi lessicale anglosassone Brexit, sono le stesse che permisero alla Corona Britannica di solcare indisturbata gli anni della Costituente europea, dai Trattati di Roma del 1957, fino alla gestione della contemporanea Unione a 28: principalmente sovranità nella legislazione e maggiore autonomia nel controllo delle frontiere geografiche. A proposito del primo tema, lo Statuto che regola l’uscita eventuale di un Paese membro dalla Comunità Europea è il Trattato sul funzionamento dell’Ue (TFUE), il quale prevede tre possibilità d’intesa.
Brexit: il Trattato sul funzionamento dell’Ue
Nei casi in cui uno Stato contraente voglia scindere definitivamente i propri rapporti con la Comunità, il Trattato sul funzionamento dell’Ue interviene tramite l’articolo 50. Esso prevede tre scenari differenti. Il primo garantisce un recesso, da presentare attraverso uno specifico iter amministrativo al Consiglio europeo, entro un tempo massimo di due anni a far fede dalla data del deposito dell’istanza da parte dello Stato interessato. L’accordo verrebbe dunque negoziato dalla Commissione e accettato dal Consiglio, soltanto previo voto favorevole del Parlamento.
La seconda ipotesi prevede che non si riesca, nell’arco dei canonici due anni, a giungere ad un congruo compromesso di recesso tra Stato interessato e istituzioni europee. In questo caso, i Trattati perderebbero il loro valore giuridico e la loro effettiva applicabilità. Il Regno Unito dovrebbe regolare le proprie relazioni con l’Ue tramite l’instaurazione di alcuni accordi ad hoc, sul modello dei patti esistenti oggi tra Ue e Turchia.
In ultimo, il terzo orizzonte. In esso, scaduti i due anni di trattativa e validità del Trattato in vista di una uscita concordata, il Paese recedente e il Consiglio europeo, il quale dovrebbe esprimere in merito parere unanime, applicherebbero una proroga di altri due anni per giungere, sotto l’egida giuridica del TFUE, ad una soluzione condivisa.
Riccardo Piazza