Le banche italiane sulle Montagne russe: cosa sta succedendo?
Le banche italiane sulle Montagne russe: cosa sta succedendo?
Continua senza recedere il lento quanto inesorabile otto volante delle banche, e dei relativi titoli azionari, sulla Borsa di Piazza Affari. Dall’inizio di dicembre del 2015 al marzo del 2016, secondo Kepler Cheuvreux, l’indice di produttività del settore ha costantemente tenuto un andamento a curva decrescente, specie se confrontato con il principale riferimento europeo (Stoxx Europe 600). Tuttavia, al di là delle strette peripezie della finanza, la situazione delle banche italiane è cruciale anche per il settore del risparmio, per l’economia reale, in altre parole per i contribuenti.
Banche: i crediti deteriorati e gli aiuti di Stato
All’interno del settore bancario italiano esistono ad oggi 360 miliardi di sofferenze creditizie. Si tratta di veri e propri prestiti non riscossi, o difficilmente esigibili, causa insolvenza di chi ne ha usufruito. Di questi 360 miliardi, 200, appartengono alla prima categoria, 160 alla seconda.
Recentemente il governo ha riportato un accordo-quadro, con le alte istituzioni europee, circa la possibilità eventuale di poter fruire di uno scudo di liquidità importante per le banche più in difficoltà: trattasi di 150 miliardi. Tale cifra potrà essere utilizzata non già come foraggiamento per una ricapitalizzazione, cosa che farebbe scattare automaticamente il veto comunitario sugli aiuti di Stato, ma a scopo di garanzia per la vendita e l’acquisto del Monte Titoli. In questo modo l’istituto di credito in deficit di margine, e non insolvente, dovrebbe poter trovare nuovo ossigeno per i propri saldi interni. Ad ogni modo, il dialogo serrato tra Roma e Bruxelles non conosce soste né requie. Al centro dei colloqui sono tante le possibilità d’intesa per la salvaguardia dell’istituto in sé come anche di quella dei correntisti. A proposito di questi ultimi, al vaglio del confronto internazionale vi sarebbe una soluzione formale per implementare gli aiuti pubblici: essa disporrebbe la conversione dei titoli obbligazionari subordinati in azioni di diverso rischio. In questo modo una eventuale cancellazione della rendita dovuta a procedure di risanamento e salvataggio pilotato (Bail-in), finirebbe per risultare meno incisiva sul portafoglio del cliente.
Palazzo Chigi ha respinto le indiscrezioni palesate dal Financial Times, secondo le quali l’esecutivo sarebbe pronto ad un intervento unilaterale di ricapitalizzazione senza la mediazione del mercato e delle autorità europee. “Rispetteremo le regole dell’Unione europea”. Cosa peraltro già affermata dallo stesso premier Renzi a margine del Consiglio europeo del 29 di giugno.
Banche: due soluzioni di contesto e l’esempio americano
In questo perfido tira e molla tra ragioni delle banche e dei correntisti, due soluzioni di contesto potrebbero giovare sia al sistema del credito, sia ai cittadini in una ottica di prospettiva. In una interessante analisi della crisi economico-finanziaria americana, partita nel 2008 e che vedeva le banche a stelle e strisce nella medesima situazione di anemica erogazione di credito odierna degli istituti nostrani, esplicitata sulle colonne del Corriere, si dà conto di come Washington sia all’epoca intervenuta con una dotazione di 700 miliardi di dollari per l’acquisto delle sofferenze creditizie, dalle quali gli istituti non riuscivano a liberarsi, né riscuotendo i prestiti, né tantomeno rivendendo i titoli “spazzatura” sul mercato.
Seguendo il filo della storia ma tornando alle vicende di casa nostra, la prima soluzione potrebbe essere quella di creare una bad bank, statale oppure sotto la sovrintendenza di Cassa Depositi e Prestiti, che acquisti tali crediti inesigibili rivalutandone il prezzo e gonfiandone così la rendita per gli azionisti delle banche. Il rischio di acquistare titoli a prezzi fuori mercato però, sarebbe quello di cedere probabilmente fin troppa manna agli azionisti principali, con conseguente magro ritorno per il contribuente. La seconda soluzione sarebbe forse più equanime: lo Stato dovrebbe “costringere” l’istituto di credito ad emettere un nuovo pacchetto di azioni che verrebbero comperate ad un prezzo calmierato e deciso dal Tesoro al fine di ricapitalizzare la cassa di risparmio in difficoltà. Questo svaluterebbe molto più della prima soluzione il portafoglio dell’azionariato, ma consentirebbe ai bilanci di ritrovare linfa e dunque di ricominciare l’erogazione del credito alla clientela.
D’accordo, si dirà, e il veto circa gli aiuti di Stato da parte dell’Unione europea? Se a rendere operativa una delle due idee fosse un fondo di intermediazione privato alla stregua di Atlante, che in Italia ha già salvato Veneto Banca e la Popolare di Vicenza, allora potrebbe forse essere scacco matto.
Riccardo Piazza