Referendum, adesso Renzi ci ripensa: resto finché lo vuole il Parlamento
Adesso il passo indietro del Presidente del Consiglio Matteo Renzi è doppio. E su tutta la linea. Prima ha aperto a cambiare l’Italicum, la legge elettorale a lui molto cara approvata a colpi di fiducia nel maggio scorso ed entrata in vigore lo scorso luglio. Poi, con l’intento di “spersonalizzare” un referendum che stava assumendo sempre più le sembianze di un plebiscito su di sé, prima ha detto che “la legislatura va avanti comunque fino al 2018” (anche se vincesse il “No”) e ieri ha aggiunto: “finché c’è la fiducia del Parlamento io rimango”. La cornice è quella del PalaNord di Bologna dove ieri sera è andato in scena il dibattito, a tratti anche molto acceso, tra il Presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani Italiani (Anpi) Carlo Smuraglia e lo stesso premier Renzi. I due contendenti hanno discusso sia del merito della riforma costituzionale ma anche dell’Italicum, che proprio non piace ai partigiani. Ma la notizia vera della serata è l’uscita di Renzi che rimette il suo futuro in mano al Parlamento, anche in caso di vittoria del “No” al referendum di autunno.
Referendum, quando Renzi diceva: se perdo, vado a casa
La riforma costituzionale è stata approvata in ultima lettura alla Camera lo scorso 12 aprile, dopo ben 6 passaggi parlamentari (come previsto dall’articolo 138 della Costituzione). Il premier, alla vigilia di quel voto decisivo, disse in aula a Montecitorio: “se perdo lascio”. Da quel momento in avanti, tutta la campagna referendaria è stata giocata su quelle parole di Renzi ripetute in molte altre occasioni. “Non è la mia riforma ma quella che l’Italia aspettava da 30 anni. Se perdo, non resto come i vecchi politici che si mettono il vinavil e che invece di lavorare restano attaccati alle poltrone” diceva l’inquilino di Palazzo Chigi il 4 maggio. E ancora:
Ho detto che se perdo vado a casa e lo confermo. Ma non si tratta di personalizzare lo scontro, è questione di serietà. Se gli italiani preferiscono gli inciuci, è giusto che vadano avanti senza di me (21-05-2016).
Se il referendum non passa, torniamo nella palude. Ma se ciò non avvenisse, che resto a fare in politica? Non sono come gli altri, io. Se il referendum andrà male continuerò a seguire la politica come cittadino libero e informato, ma cambierò mestiere. O cambio l’Italia o cambio mestiere (02-06-2016, il Foglio).
Dicono che ho sbagliato a dire che se perdo vado a casa. Ma secondo voi posso diventare un pollo da batteria che perde e fa finta di nulla? (31-06-2016, l’Unità).
C’è qualcuno tra voi che pensa sinceramente che, dopo che la legislatura è nata e ha fatto ciò che ha fatto, in caso di No al referendum il presidente del Consiglio – e io penso anche il Parlamento – possa non prenderne atto? (04-07-2016, direzione Pd).
Referendum, il passo indietro di Renzi: “spersonalizzare”
Poi, dopo un’estate convulsa in cui i suoi – e in particolare il guru americano Jim Messina – gli hanno consigliato di non “personalizzare” troppo la consultazione, il premier ha fatto un passo indietro. Prima, ha ammesso l’errore lo scorso 9 agosto alla Festa dell’Unità di Bosco Albergati e poi, 10 giorni dopo alla Versiliana, ha invertito la rotta: “comunque vada il referendum, si vota nel 2018”. Fino a ieri sera, quando ha apertamente dichiarato che, finché avrà la fiducia delle Camere, rimarrà a Palazzo Chigi anche in caso di vittoria del “No”. Una bella giravolta, quella del premier, sintomo di una preoccupazione crescente verso quei sondaggi che danno il “No” in costante crescita almeno da inizio estate.
Ma l’unica cosa certa al momento è la convocazione del Consiglio dei Ministri che sarà chiamato a decidere sulla data del referendum. Il prossimo 26 settembre il governo metterà un primo punto fermo sulla consultazione. Le ipotesi in campo quindi sono il 20 o il 27 novembre o il 4 dicembre perché le votazioni si devono tenere tra il 50° e il 70° giorno dalla decisione del Consiglio dei Ministri.