Stati Uniti: risorgono paura e violenza
Stati Uniti: risorgono paura e violenza.
L’ondata di violenza che colpì gli States durante i mesi estivi (specialmente nel mese di luglio) in concomitanza con una serie di attentati su suolo europeo – rivendicati dall’Isis – sembra essersi rinvigorita, dopo la drammatica esplosione in un centro commerciale di New York.
Violenza che genera violenza
Non è un caso che l’incremento di azioni violente in Europa – di matrice terrorista o meno – abbia effetti rilevanti anche dall’altro lato dell’ Atlantico. Già a luglio, in concomitanza con la mattanza di Nizza e altri attentati che si verificarono durante l’estate (da Bruxelles a Berlino) il clima negli States s’infiammò per via dell’ ennesima uccisione di un afroamericano da parte della polizia. Mentre l’ Europa guardava con timore alla minaccia fondamentalista, gli U.S.A. hanno dovuto fronteggiare l’escalation di violenza dovuta a una questione razziale mai del tutto risolta. Il clima di tensione, paura e sospetto, percepito dalla popolazione europea, si è rapidamente propagato negli States. La possibilità di disporre di armi (con una facilità talvolta disarmante) è sicuramente un catalizzatore che accelera la conversione del clima di tensione in violenza diretta.
Da Ferguson a Seattle, tra questione razziale e cultura della violenza
Prima ancora che la minaccia terrorista, quindi, gli States affrontano il proprio problema di sicurezza (costante) legato a una concessione pressocchè indiscriminata del porto d’armi e a una certa discrezionalità da parte delle forze dell’ordine. Dai fatti di Ferguson in poi, il tema razziale è tornato a più riprese, mostrando tutte le fragilità di una società ancora divisa e con una marcata disuguaglianza. L’ultimo evento – in ordine cronologico, il 21 settembre – è l’uccisione a colpi di arma da fuoco di un afroamericano, che si suppone fosse disarmato, in Charlotte. La polizia, per il momento, non rennde pubblica alcuna prova, trincerandosi nel silenzio. Ciò nonostante, il problema della massima violenza non può – e non deve – essere ricollegata unicamente a una questione razziale. L’ultima strage, compiuta ieri (23 settembre) a Seattle (Washington) è stata portata a termine da un giovane ispanico in maniera indiscriminata, uccidendo quattro donne e un uomo. L’ennesima mattanza che porta con sè l’ennesimo carico di morte e disperazione.
Stati Uniti: cultura della violenza e violenza culturale
Il problema della violenza negli Stati Uniti ha cause per lo più endogene. La produzione artistico-culturale ha spesso esaltato la violenza nel suo estetismo: attraverso la cinematografia, la letteratura, la produzione musicale e l’industria videoludica. L’assuefazione alla violenza, in dosi elevate e continuamente replicate, fà si che questa entri come componente culturale della società statunitense. Il tutto – ovviamente – corroborato da una normativa che la incentiva ed esalta. Affianco alla cultura della violenza, ritroviamo quella che fu definita violenza culturale (dall’emerito Johan Galtung): la violenza “indiretta, non fisica”, prodotta dalle disuguaglianze radicate nel senso della società. Tali disuguaglianze possono essere tanto di carattere economico, come identitario-culturale e legate ai rapporti di forza nella struttura sociale. In sintesi: La violenza culturale stimolerebbe il fomento della violenza diretta, legittimata attraverso la struttura normativa degli Stati Uniti. Per voler sradicare il tragico fenomeno di tali mattanze – che ogni anno si portano con sè migliaia e migliaia di morti – bisogna agire, in primis, sulle componenti che stimolano la violenza, nella duplice vertente culturale e strutturale. Senza il supporto di queste due, vengono meno i pilastri di una delle più grandi piaghe che si siano autoinflitti gli Stati Uniti d’ America.