Assoluzioni Marino-Cota, Legnini (Csm) fa autocritica
“Mi auguro solo che queste assoluzioni, e anche altre del passato, aiutino a produrre una vera e propria svolta culturale, prim’ancora che normativa”. Giovanni Legnini, vicepresidente del Csm dal 10 settembre 2014, affida a Repubblica parole di autocritica rispetto al ruolo della magistratura nel sistema processuale italiano con riferimento alle recenti assoluzioni dell’ex Sindaco di Roma, Ignazio Marino, e dell’ex Presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota. “Quando c’è un’assoluzione non necessariamente il pm ha sbagliato – premette Legnini –. Ritengo solo che i pm dovrebbero effettuare di più e meglio, già in fase di conclusione delle indagini, un giudizio prognostico più rigoroso sull’esito del procedimento”. Ovvero? “Porsi il problema dell’effettiva sostenibilità delle accuse in dibattimento. Esiste ad esempio una precisa disposizione di legge nel quale è scritto che il pm deve svolgere anche accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini”. “Questo – continua il vicepresidente del Csm – costituisce un giusto corollario all’obbligatorietà dell’azione penale. Mi piacerebbe che ogni pm potesse dire a se stesso, innanzitutto, di aver sempre applicato questa norma del codice”. Che tradotto, significa: i magistrati dovrebbero avere più cautela nel valutare “la sostenibilità delle accuse” già nella fase delle indagini preliminari.
Il vicepresidente del Csm si inserisce nella polemica innescata ieri dal Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che al Congresso Nazionale Forense ha invitato la politica a non utilizzare strumentalmente i processi “usati con indulgenza quando riguardano gli amici e con intransigenza se toccano ai nemici”.
Legnini: recuperare il principio di separazione dei poteri
Legnini comunque è dell’idea secondo cui le assoluzioni eccellenti degli ultimi giorni dimostrino come il sistema processuale italiano funzioni: “è giusto sottolineare l’aspetto positivo di queste vicende: c’è sempre un giudice che, nel contraddittorio delle parti, accerta la verità giudiziaria ed emana una sentenza di condanna o di assoluzione”. Poi, però invita politica e magistratura a recuperare quel principio “antichissimo ma sempre attuale” della separazione dei poteri. “In fondo basterebbe che ciascuno s’impegnasse a fondo per applicare alcuni principi cardine della nostra Carta –sottolinea Legnini –, obbligatorietà dell’azione penale certo, ma anche presunzione di innocenza, nonché obbligo di esercitare le funzioni pubbliche con disciplina e onore”.
La responsabilità di quello che Legnini chiama “cortocircuito politica-giustizia-informazione” però non va ricercato solo in alcune “anomalie ed eccessi nelle indagini” ma anche in una politica che si mostra “debole” quando utilizza le inchieste giudiziarie per regolare i propri conti interni invece di darsi “regole proprie” su “chi e quando” allontanare e in una stampa che rispetti maggiormente le “regole deontologiche” per non ricadere nello “scandalismo e nell’utilizzo strumentale e a fini politici di notizie o atti di indagine coperti da segreto”. Chissà se qualcuno lo ascolterà.