Referendum costituzionale, nel Pd c’è chi non vuole le urne anticipate
Tra gli scenari post referendum costituzionale alcuni giornali hanno ipotizzato un ritorno alle urne anche se dovesse vincere il Sì. Secondo gli analisti politici, il premier Renzi andrebbe comunque ad elezioni anticipate per incassare il bottino conquistato il 4 dicembre.
Questa eventualità deve però fare i conti con quella parte del Partito Democratico che non vuole le elezioni anticipate.
Referendum costituzionale, il partito del Colle
Repubblica stima che questo esercito silenzioso, ribattezzato il “partito del Colle”, sia composto da ben 100 parlamentari Pd.
Capitanati da Dario Franceschini, consigliati da Francesco Garofani e Antonello Soro, sostenuti da Enrico Letta e Graziano Delrio. «In una parola: diccì», per dirla con Pierluigi Castagnetti. In tutto, un centinaio tra deputati e senatori. Pronti a spendersi per la continuità di questo governo, fedeli al motto di “Renzi dopo Renzi”. A patto che il premier – indipendentemente dall’ esito del referendum – eviti fughe elettorali e rinunci alla tentazione di fare tabula rasa nel Pd. Lealtà all’ unica leadership su piazza, insomma, ma solo a condizione di sostituire una “trumpizzazione” buona solo per la campagna elettorale con l’ immagine di una coalizione responsabile.
Referendum costituzionale, nel Pd c’è chi dice no (alle urne)
In particolare, scrive Bechis su Libero, trentadue esponenti di questo “partito del Colle” sono pronti ad immolarsi pur di non vedere le Camere sciolte. Il perchè è ben presto detto.
I 32 del gruppetto sono tutti parlamentari Pd che hanno varcato la fatidica soglia di almeno 15 annida deputato e da senatore, e che quindi a norma dell’articolo 21, comma 3 dello statuto Pd, non potrebbero più essere ricandidati. A guidare il gruppo di quelli che dovrebbero dire addio allo scranno parlamentare c’è un pezzo da Novanta del partito, che ha nel suo curriculum ogni carica interna ed oggi è ministro dei Beni culturali: Dario Franceschini.
Difficile per Renzi fare i conti senza l’oste. Andare ad elezioni anticipate potrebbe costargli l’appoggio dei franceschiniani al prossimo Congresso Pd e soprattutto il secondo giro di valzer a Palazzo Chigi.