Cona: le colpe delle cooperative, le colpe della politica
Cona: le colpe delle cooperative, le colpe della politica
Lunedì moriva Sandrine Bakayoko, venticinquenne ivoriana in attesa di risposta alla domanda di asilo politico. E non moriva in un posto a caso. È stata trovata priva di conoscenza in uno dei bagni della ex base missilistica di Cona (VE), sede di un centro di prima accoglienza che ospita oggi quasi 1.500 migranti. In seguito alla morte della ragazza, iniziava una protesta dei migranti che, racconta il commissario capo Luca Vincenzoni, hanno chiuso il cancello della struttura, bloccando così l’uscita di venticinque operatori. Ma, come sottolinea Vincenzoni, “è eccessivo parlare di un sequestro. Non c’è stato il minimo gesto violento … I migranti hanno dato fuoco a “quattro vecchie panche di legno sul prato, senza provocare alcun serio danno”.
Cona: le colpe delle cooperative, le colpe della politica
Le richieste dei migranti sono semplici: migliorare le condizioni della struttura di accoglienza. Da gennaio 2016, infatti, è la terza protesta ad opera dei migranti accolti dal centro di Cona. L’oggetto del malcontento è sempre il solito: lo scarso livello di assistenza offerto dalla struttura, già reso noto dai media e oggetto di un’interrogazione parlamentare ad opera del deputato di Sinistra Italiana Giovanni Paglia, che a dicembre denunciava “condizioni ambientali estremamente disagiate” e “difficoltà di garantire assistenza sanitaria adeguata”, temendo che una simile situazione sarebbe potuta degenerare in qualsiasi momento.
E quella degenerazione è avvenuta lunedì scorso con la morte di Sandrine. La ragazza, come raccontano, si era sentita male in mattinata, tra le 7 e le 8, ma i soccorsi sarebbero arrivati solo alle 14. Dall’ospedale di Piove di Sacco fonti sanitarie affermano che l’ambulanza è partita non appena è giunto l’allarme. All’arrivo dei sanitari, la giovane ivoriana era riversa in bagno, priva di conoscenza. Dopo le manovre rianimatorie, la paziente è stata portata al Pronto soccorso piovese, dove è giunta priva di vita. Da lì è scattata la rivolta, arginata alle 2 di notte di ieri per mezzo dell’intervento delle forze dell’ordine.
Ora, la notizia, già di per sé infelice e degna di attenzione, diviene ancora più di boom mediatico se il centro di accoglienza è gestito da una cooperativa colpita da tre inchieste giudiziare. Sull’Ecofficina Edeco di Padova, leader nel settore dell’accoglienza in Veneto, pesano tre ipotesi di reato: truffa, falso e maltrattamenti. Ma procediamo con ordine. Nata nel 2011, grazie alle quote di Padova Tre, la società che si occupa dello smaltimento dei rifiuti nel padovano, inizialmente si chiamava Ecofficina Educational e si occupava di fornire personale alle varie strutture (scuole e biblioteche) a Padova e dintorni.
La nascita della cooperativa coincideva con l’inizio della primavera Araba, cui è conseguito l’arrivo di un numero spropositato di esuli, difficile da accogliere all’interno delle strutture preesistenti. È proprio in quel periodo che in Italia iniziano a nascere nuove associazioni, cooperative e società per gestire la massiccia migrazione dai paesi dell’Africa del Nord. Così, anche Ecofficina decide di entrare nel mondo dell’accoglienza. Come racconta Il Mattino di Padova, la cooperativa padovana vede passare il suo fatturato da 114mila euro nel 2011 a più di un milione del 2013, per salire poi a 2 milioni e 369 mila euro nel 2014 e sfiorare i 10 milioni nel 2015, con un utile di 441 mila euro.
Certo è che negli anni Ecofficina riesce ad aggiudicarsi la gestione di tre importanti strutture di accoglienza venete: Bagnoli a Padova, Cona a Venezia, Oderzo a Treviso, per un totale di quasi 2000 ospiti. Oltre a questi, fino a settembre scorso, la coop gestiva anche l’ex caserma Prandina di Padova, dalla quale sono passati centinaia di profughi, accaparrandosi così l’epiteto di “coop pigliatutto” del Veneto.
A settembre, però, Confcooperative sospende la società, “accusata” di fare troppo business. “Non esiste una legge che impedisce di ospitare e gestire centinaia di profughi in un’unica struttura – diceva il presidente provinciale di Confcooperative, Ugo Campagnaro – Questo però è un sistema che non risponde alle logiche della buona accoglienza, della qualità dell’intervento, dell’integrazione e della relazione. Si tratta invece di un modello che guarda soprattutto agli affari. E, per tutte queste ragioni, vogliamo prendere le distanze da questo soggetto e dalla maniera in cui opera”.
Durante il 2015 era già stato puntato il dito su Ecofficina Edeco che, insieme alla “sorella” Padova Tre, era finita nel mirino di un’inchiesta ad opera del pm di Padova Federica Baccaglini, riguardo ad un buco in bilancio da 30 milioni di euro. Ad aprile 2016, la cooperativa è nuovamente protagonista nell’ambito di un’inchiesta per presunti maltrattamenti nei confronti delle persone ospitate, dopo una segnalazione che denunciava cibo di scarsa qualità distribuito agli ospiti delle strutture gestite dall’Ecofficina, angherie, soprusi e nessun corso di alfabetizzazione organizzato per fare studiare l’italiano ai migranti. Qualche settimana dopo, come se non bastasse, si apriva un fascicolo per truffa e falso. Nel mirino dell’indagine una data in documenti ufficiali che, a detta dell’accusa, sarebbe stata modificata da esponenti della coop al fine di aggiudicarsi un altro appalto da adibire all’accoglienza dei migranti, sempre in provincia di Padova, nel comune di Due Carrare.
Bilancio della vicenda: cooperativa sociale coinvolta in numerose inchieste; una morta; proteste dei migranti per condizioni di trattamento al limite della civiltà. Triste è che sia il fatto della protesta ad aver fatto maggiormente breccia nell’arena pubblica, incrementando polemiche e dibattiti politici di basso profilo. Ma il caso Cona offre un altro spunto di riflessione. A inizio dicembre il deputato Paglia poneva all’attenzione del Ministero dell’Interno un’interrogazione a risposta scritta recante tutti i suoi dubbi sul centro di accoglienza oggetto dell’articolo.
Ovviamente, l’iter dell’interrogazione è ancora in corso, e forse lo rimarrà per sempre (un atto di sindacato ispettivo cade al momento della fine della legislatura nel quale viene presentato). Sono moltissimi gli atti che rimangono senza risposta, e spesso molto importanti e degni di una maggiore attenzione da parte dei vari ministeri. Solitamente, sono gli atti di maggiore risonanza politica ad avere un iter più breve. Gli altri sono lasciati ad arricchire un database sempre più folto.
Premesso che nell’ultima legislatura i parlamentari hanno spesso abusato degli strumenti di sindacato ispettivo, il cui numero è aumentato vertiginosamente, generando spesso una sorta di “ostruzionismo” alla buona esplicazione dell’attività da parte del governo, rimane il fatto che gli strumenti di sindacato ispettivo sono importantissimi all’interno di un ordinamento, essendo uno dei principali strumenti del check and balance di montesquieana memoria, ovvero del controllo e bilanciamento reciproco dei poteri di uno Stato.
Anche alla luce del caso Cona, sarebbe necessaria, da parte di Parlamento e Governo, un’attenzione maggiore sia nell’utilizzo degli atti di sindacato ispettivo, sia nella risposta, così da ridargli il valore e l’importanza che meritano.
Camilla Ferrandi