Sondaggi elettorali: Referendum Irlanda del Nord, è la volta buona?
Sondaggi elettorali: Referendum Irlanda del Nord, è la volta buona?
L’Irlanda del Nord dovrebbe votare sulla permanenza nel Regno Unito “il più presto possibile”. Lo ha dichiarato, Michelle O’Neill, leader di Sinn Fein, il maggiore partito repubblicano nord irlandese. La Brexit, ha poi aggiunto, sarebbe un “disastro” per l’economia della tribolata nazione. L’unico modo per bypassarne gli effetti sarebbe quello di entrare a far parte della Repubblica d’Irlanda.
Solo poche ore prima, la premier scozzese Nicola Sturgeon aveva concretamente rilanciato l’idea di un secondo referendum sull’indipendenza. Anche in questo caso c’entra la Brexit. Il primo ministro britannico Theresa May, finora, ha bloccato sul nascere qualsiasi speranza scozzese di mantenere un legame con il mercato unico europeo.
Al referendum di giugno, l’Irlanda del Nord si è espressa con nettezza a favore della permanenza del Regno Unito. Quasi il 56% dei nord irlandesi ha votato “Remain”. Solo in Scozia si è registrata una percentuale maggiore di “europeisti” (62%).
Sondaggi elettorali: Referendum Irlanda del Nord, è la volta buona?
Secondo un sondaggio condotto da Ipsos MORI a settembre, il 63% dei nordirlandesi sarebbe contrario a lasciare il Regno Unito. Diametralmente, il 22% sostiene il progetto di un’Irlanda “unita”.
Per quanto riguarda il tema dell’indipendenza della Scozia, invece, l’ultima indagine di Ipsos riferisce che il 49% della nazione britannica sarebbe favorevole a lasciare il Regno Unito. Inoltre, un terzo della popolazione sarebbe parzialmente aperta a prendere in considerazione il sostegno alla causa separatista.
Alla consultazione del 2014, solo il 44,7% degli scozzesi votò a favore all’indipendenza. Vinsero i contrari con il 55,3%.
D’altro canto, al di là del “ritornello” della leader SNP, sarà bene segnalare che, secondo un recente sondaggio BMG, il 17% di coloro che hanno votato “Yes” nel 2014 e “Leave” al referendum di giugno, oggi, vorrebbe rimanere nel Regno Unito. Diametralmente, solo l’8% di chi ha votato “No” e “Remain” è passato dalla parte degli indipendentisti.
Certo, da qui al 2019, anno entro il quale la Sturgeon vorrebbe una nuova votazione sull’indipendenza, molte cose possono cambiare. Detto ciò, anche considerando l’imprevedibilità delle contrattazioni tra Londra e Bruxelles, sembra che il risultato di un nuovo referendum sull’indipendenza scozzese non sia destinato ad allontanarsi poi molto da quello di due anni fa.
Sondaggi elettorali: Referendum Irlanda del Nord, è la volta buona?
Ben diverso il caso nordirlandese. A Belfast neanche due settimane fa si è assistito a un importante cambiamento negli equilibri politico-istituzionali. L’Irlanda del Nord era andata a votare a maggio per l’elezione dei 108 deputati membri dell’assemblea nazionale. Il DUP, il maggiore partito unionista, ne aveva conquistati 38, mentre il Sinn Fein si era fermato a quota 28.
Dopo 10 mesi, si è tornati alle urne a causa delle dimissioni (nel contesto dello Scandalo del Renewable Heat Incentive) di Martin McGuinness, deputy First minister repubblicano, al governo in ticket con la First minister unionista Arlene Foster (in base agli Accordi del Venerdì Santo è previsto che i due maggiori partiti governino “insieme”).
Alla tornata del 2 marzo, stavolta – cambiata la legge elettorale – si eleggevano solo 90 deputati, il DUP è rimasto primo partito con 28 deputati, il Sinn Fein da parte sua ha guadagnato consensi facendone eleggere 27. Nel frattempo, l’UUP, il secondo partito unionista per importanza, non superava quota 10 seggi, mentre SDLP, secondo partito repubblicano, arrivava a 12.
Quinto partito Alliance. I liberali, in passato moderatamente schierati con l’unionismo, ora teoricamente esponenti di un non-sectarian centrism ai limiti della neutralità sulla questione nazionalista, hanno conquistato 8 seggi. Altri 2 sono andati ai Verdi. Un seggio è andato anche a People Before Benefit (trozkisti). Eletto, come Indipendente, anche Jonathan Bell, ex DUP ed UUP.
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Alla luce di questa composizione parlamentare e visto il proposito enunciato dalla O’Neill, quante possibilità ci sono che si svolga un referendum sulla permanenza nel Regno Unito in Irlanda del Nord?
Qualsiasi votazione che l’Assemblea nord irlandese abbia da affrontare può essere fatta dipendere da una “petition of concern“. Si tratta di una specie di “veto”. Deve essere presentata dallo Speaker dell’Assemblea e supportata da almeno 30 parlamentari.
Perché una decisione sottoposta alla “petition of concern” possa essere approvata ha bisogno di particolari requisiti. Innanzitutto, deve incontrare il favore della maggioranza ponderata (60%) dell’Assemblea. In secondo luogo, questa maggioranza deve essere formata da, come minimo, il 40% dei membri dell’Assemblea di ciascun partito unionista e nazionalista.
Assodato che ogni partito deve dichiarare “da che parte sta” ogni volta che i suoi eletti fanno ingresso nell’Assembly (con la possibilità di cambiare schieramento solo una volta per ogni legislatura), è ora di fare un po’ di calcoli.
Attualmente, gli unionisti alla Camera di Stormont sono 40. Basta sommare i membri DUP, UUP, TUV e l’indipendente che voterà di certo in linea con questi. I nazionalisti (Sinn Fein e SDLP), invece, sono 39. I restanti parlamentari, 11 in tutto, appartengono a forze che non si sono schierate (Alliance, Verdi e People Before Profit).
Insomma, servirebbe il voto di 16 parlamentari unionisti per aggirare un veto che, per forza di cose, verrebbe opposto dagli stessi partiti nord irlandesi “fedeli” a Sua Maestà. Non dipende quindi tanto da Londra che, negli Accordi del 1998, aveva garantito la possibilità di una consultazione popolare sull’adesione.
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La “petition of concern” è stata pensata come un meccanismo di salvaguardia delle minoranze. Dopo decenni di sanguinose battaglie religiose e identitarie è stato previsto che decisioni delicate avessero un certo grado di “cross-comunity support“.
Tuttavia, tra il 2011 e il 2016, è stata usata per ben 115 volte. In 86 casi il “veto” è stato proposto dal DUP. Solo 29 volte dai nazionalisti. 4 volte dai verdi, 3 da Alliance, 2 volte dagli Unionisti dell’Ulster. Il dato fa pensare che lo strumento stia agevolando la difesa degli interessi di una sola parte. Di un solo partito.
Le possibilità di tenere un referendum sulla permanenza nel Regno Unito in Irlanda del Nord stanno tutte qui: in una possibile riforma della “petition of concern”. Questo potrebbe succedere molto presto, almeno stando all’apertura di Arlene Foster in campagna elettorale. Il ridimensionamento del meccanismo incontrerebbe, a quanto pare, anche il beneplacito di Alliance. Tuttavia, il “pericolo” è dietro l’angolo. “Credo che i nostri avversari vogliano mantenerla per quello che gli serve, non permettendoci di usarla” ha dichiarato la O’Neill, a commento delle parole della First minister.