Il razzismo nelle società scandinave: il paradosso nord europeo
Sono società tra le più avanzate al mondo. Anche sul fronte delle leggi sull’accoglienza. È lì che spesso i profughi vogliono arrivare. Ma sono anche società che nascondono al proprio interno venature di diffidenza nei confronti degli stranieri. Atteggiamenti che a volte diventano razzismo. In alcuni casi violenza. È il paradosso delle nazioni scandinave.
Lo scorso novembre, una ragazza somala di nome Warsan Ismail ha incominciato a raccontare su Twitter gli episodi di razzismo di cui lei e la sua famiglia sono stati vittime in Norvegia. Altri l’hanno imitata accodandosi all’hashtag #norskrasisme (‘razzismo norvegese’). Ne è venuto fuori un dibattito controverso, con dati contrastanti, un flusso di vicende che ha puntato un riflettore contro un angolo buio.
Quando sono di fronte a un gesto o a una parola razzista, i norvegesi ammettono di voltarsi spesso dall’altra parte. Ma per alcuni ricercatori a voltarsi dall’altra parte è l’intera società, una società che si ritiene al di sopra di un problema spinoso, difficile da maneggiare. Prevale l’immagine che la Norvegia ha e vuole avere di sé stessa: un paese avanzato, aperto e tollerante. E la Norvegia lo è davvero: sotto molti punti di vista. Basti pensare al numero di politici con radici straniere che siedono in Parlamento.
Ma c’è anche altro. I somali ad esempio si sentono spesso esclusi dalla società, devono combattere contro pregiudizi, hanno difficoltà nel trovare un lavoro e nell’affittare un appartamento. Anche i rom sono visti con diffidenza. A febbraio, nella Contea del Nord-Trøndelag cinque ragazzi hanno aggredito un immigrato liberiano che viveva in Norvegia da dieci anni. Lunedì scorso l’imam della più importante moschea di Oslo è stato aggredito. Le minacce diretta alla comunità musulmana sono in aumento. E allora? La Norvegia è razzista? Per il giornalista eritreo Samson Mahari, che vive nel paese scandinavo da anni, la società norvegese sta diventando multiculturale ma questo è un fenomeno relativamente recente. Il paese è nel mezzo di un percorso che richiederà tempo, tolleranza, dialogo e pazienza.
In Finlandia gli stranieri sono ancora pochi. Vivono per lo più nelle maggiori città del paese: sono estoni, somali, arabi ma anche tanti europei. I fenomeni di violenza e discriminazione nei loro confronti sono pochi ma in aumento. Così come i norvegesi, la maggior parte dei finlandesi ammette di non intervenire quando è di fronte a un episodio razzista, anche se la vittima è un bambino.
Lo scorso autunno un sondaggio ha svelato come la maggior parte della popolazione nel paese nord europeo creda che gli “immigrati debbano diventare come i finlandesi il prima possibile”. Una posizione che ha spiazzato gli stranieri e che per alcuni studiosi è la dimostrazione di una società ancora diffidente.
Le leggi dello stato e l’atteggiamento della gente non vanno alla stessa velocità. E le distorsioni prodotte dai media non aiutano: l’immagine tradizionale dello straniero in Finlandia ha l’aspetto di un somalo, nonostante siano moltissimi gli immigrati che provengono da paesi occidentali. Sul finire dell’anno scorso, ha fatto scalpore a Helsinki la posizione presa da Maryan Abdulkarim, attivista somala ed esperta di multiculturalismo, che nel paese nord europeo ci vive sin da sin bambina: “La Finlandia è un paese razzista, lo è sempre stato”. Prova ne è ciò che il popolo Sami ha vissuto in passato, ha spiegato, e ciò che i rom vivono ancora oggi.
A Stoccolma il 2014 è cominciato con le svastiche dipinte con la vernice sull’ingresso di una moschea. Le associazioni islamiche di Svezia raccontano che mail, insulti e atti di vandalismo sono sempre più frequenti. A inizio aprile, una donna romena è stata aggredita da un gruppo di ragazzi nella periferia nord della Capitale.
La Svezia è nota per essere un posto aperto, dove chiunque può rifarsi una vita. La politica d’accoglienza di Stoccolma è tra le più generose al mondo. La maggioranza degli svedesi accetta di buon grado l’idea di vivere in una società multiculturale. Ma quattro svedesi su cinque pensano che gli immigrati dovrebbero adeguarsi agli usi e costumi della Svezia. E due su tre credono che ci siano categorie di stranieri non in grado di farlo. Come in una matrioska socioculturale, l’atteggiamento della Svezia nei confronti degli immigrati è un gioco di scatole dai contenuti differenti.
Sono soprattutto gli anziani ad avere un approccio diffidente verso gli stranieri. Le nuove generazioni sono più aperte. E più alto è il livello d’istruzione, più basso è l’atteggiamento di chiusura nei confronti dell’altro. Altri dati però dicono cose diverse. I gruppi neonazisti sono sempre più numerosi, attivi, spavaldi. E i forum di estrema destra sono frequentatissimi. Bersaglio preferito: gli stranieri.
In alcuni casi l’integrazione è andata in corto circuito. Ai margini delle città sono nati quartieri-ghetto pieni di immigrati spesso senza lavoro. In alcuni casi è bastata una scintilla per far divampare un incendio. Gli scontri alla periferia di Stoccolma della scorsa primavera ha messo la Svezia di fronte ai propri limiti. Il Times scrisse in quell’occasione che notte dopo notte i tumulti di Stoccolma erano diventati una protesta contro la mancanza di lavoro e il razzismo strisciante nella società svedese. Lena Mellin, commentatrice del quotidiano Aftonbladet, parlò di ‘fallimento politico’. La strada da fare è ancora lunga. Forse più di quanto la Svezia stessa voglia ammettere.