Una ‘nuova Turchia’ dopo le elezioni presidenziali?
(In collaborazione con Mediterranean Affairs)
Il prossimo 10 agosto, per la prima volta, il popolo turco eleggerà direttamente il nuovo Presidente della Repubblica. A fronteggiarsi ci sarà, da una parte, Recep Tayyip Erdoğan, del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP), dall’altra Ekmeleddin Ihsanoglu, già membro dell’Organisation of Islamic Cooperation. La nomina di Ihsanoglu è sostenuta da cinque partiti politici d’opposizione: il Partito Repubblicano del Popolo (CHP), principale oppositore dell’AKP, il Partito del Movimento Nazionalista (MHP), il Partito della Sinistra Democratica (DSP), il Partito Indipendente Turco (BTP) e il Partito Democratico (DP).
Sebbene per la prima volta l’opposizione abbia fatto fronte comune contro l’AKP, Erdoğan è comunque dato dai più come vincitore certo per diverse ragioni.
La prima è legata alla vittoria che l’AKP ha ottenuto alle elezioni amministrative dello scorso 30 marzo. In quell’occasione l’AKP ha totalizzato circa il 47 per cento delle preferenze contro il 28 del CHP e il 13 dell’MHP. Quella di marzo è stata per l’AKP la settima vittoria consecutiva, che ha perciò dissipato ogni dubbio circa la sua dominance nel contesto politico turco, nonostante gli scandali che hanno colpito le sue gerarchie durante gli ultimi mesi, le recrudescenze autocratiche e le crisi domestiche che il governo ha dovuto affrontare in seguito a Gezi Park e alla rottura con il movimento di Gülen.
Appare lampante, guardando le cifre poc’anzi indicate, che una delle ragioni del successo elettorale di Erdoğan sia riconducibile alla frammentazione dell’opposizione e alla dispersione dei voti a questa diretti, acuita dalla presenza della soglia di sbarramento del 10 per cento per l’entrata in Parlamento, come previsto dalla legge elettorale turca.
Inoltre, e soprattutto, è il successo economico che ha determinato quello dell’AKP. Il dato economico, che è dunque uno dei cavalli di battaglia di Erdoğan, è momentaneamente rassicurante: sebbene sia diminuito rispetto agli anni antecedenti la crisi, il tasso di crescita per i primi tre mesi del 2014 si è attestato al 4,3 per cento, con un incremento del 33 per cento rispetto al 2013.
Tuttavia, quest’andamento positivo non è garantito nel lungo periodo, in quanto è noto che l’instabilità politica non favorisce gli investimenti. Per di più, è necessario tenere in considerazione che la politica turca è principalmente fondata sulle esportazioni, mentre il contesto regionale è in grande fermento e l’ISIS minaccia di inglobare la Turchia in un nuovo grande califfato.
Oltre ai problemi di cui si è accennato sopra, altri fattori mettono a repentaglio la coesione dell’arena domestica: per non andare troppo lontano, l’opposizione ha recentemente criticato la mancanza di finanziamenti per la campagna elettorale e il fatto che Ihsanoglu abbia ricevuto delle minacce sin dal momento della sua candidatura.
Allargando il campo di analisi, i problemi e i rischi si ampliano di conseguenza: per molti l’ascesa di Erdoğan alla Presidenza significherebbe maggiore polarizzazione, instabilità e autoritarismo. Si rischia, in breve, di avere un partito dominante in una società divisa. In questo senso, le dichiarazioni del Premier non sono delle più inclusive. Ad esempio, egli ha recentemente annunciato che non si dimostrerà imparziale in quanto Presidente della Repubblica, contrariamente alle previsioni dell’art. 110 della Costituzione Turca.
In conclusione, le elezioni del prossimo 10 agosto costituiranno una tappa molto importante per il futuro democratico della Turchia. Vincerà, come molti pensano, Erdoğan? In caso affermativo, manterrà egli le sue promesse di realizzare una ‘Nuova Turchia’ in cui la democrazia si basa meramente sul dato economico e sulla legittimazione elettorale?
Francesca Azzarà
(Mediterranean Affairs – Editorial board)