Comuni, regioni, personale e stipendi: quanto costano le autonomie locali al bilancio dello Stato
Comuni, regioni, stipendi di deputati e senatori, decreti attuativi ancora nei cassetti e i costi di gestione della Presidenza del Consiglio. Sono queste le voci di spesa, o meglio “di spreco”, individuate dal commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, e confluite in un dossier noto a Palazzo Chigi già da quattro mesi. A raccontare i dettagli, stamattina, il Corriere della Sera.
Un carteggio che negli annunci e nelle intenzioni del premier Renzi sarebbe dovuto già essere on line: tutto pubblico e disponibile alla consultazione da parte dei contribuenti italiani, nel nome della trasparenza e di un rapporto “nuovo e onesto fra cittadini e istituzioni”, ha ribadito più volte il presidente Renzi. In concreto, la relazione redatta da Cottarelli e dal suo staff giace ancora su qualche scrivania degli uffici della Presidenza del Consiglio. Troppe le voci e gli enti di spesa da contrastare, e inimicarsi, affinché l’esecutivo Renzi dia seriamente il via ad un’operazione di contenimento e revisione della spesa pubblica. A pesare di più sul bilancio complessivo dei costi della politica, spiega il Corriere, gli enti locali: regioni e comuni su tutti.
REGIONI – “Il problema principale – scrive il Corriere – è rappresentato dalla regioni”. Un intervento su questi enti assicurerebbe allo Stato centrale un risparmio stimato in circa 300 milioni di euro all’anno. A gravare sui conti delle giunte il numero degli eletti e del personale, nonché i loro stipendi. Senza contare pensioni e vitalizi. Nel dossier, commissionato dal governo, Cottarelli avrebbe anche previsto un disegno di legge, messo a punto con il predecessore Piero Giarda, per riformare l’assetto delle regioni. Un piano che, oltre a incidere fortemente sui bilanci, potrebbe anche “riscrivere la geografia politica dell’Italia”, scrive Sergio Rizzo sul Corriere, con la conseguenza che “la Regione Molise non avrebbe ragione di esistere”.
COMUNI – Lo studio non risparmia nemmeno i Comuni. Circa 8.000, sparsi su tutto il territorio nazionale. A rendere “costose” queste autonomie locali, i politici che siedono nei consigli e nelle amministrazioni. Stando ai dati della Corte dei Conti sul rendiconto dello Stato, i politici comunali sarebbero 138.834: “uno ogni 427 abitanti”, calcola il Corriere. Troppi e con stipendi, spesso, troppo onerosi. Basti pensare che il sindaco di Merano, in Trentino, guadagna 3 mila euro in più del primo cittadino di Milano. Una situazione assurda, fatte le dovute proporzioni, ancor più inaccettabile, soprattutto in tempo di crisi.
STATO CENTRALE – Ma non sono solo le autonomie locali a contribuire ai costi della politica. Anche lo Stato centrale, infatti, fa la sua parte. Se il Quirinale risparmia, spendendo 228 milioni di euro e allineando i costi per il 2013 a quelli dell’anno precedente, Palazzo Chigi, invece, è costata ai contribuenti italiani “458 milioni di euro, con un aumento dell’11 per cento” rispetto al 2012. Senza dimenticare le spese degli apparati politici dei ministeri, stimati in oltre 200 milioni, a cui vanno aggiunti i rimborsi elettorali, già elargiti e ancora da elargire, visto che manca ancora all’appello il decreto attuativo dell’articolo 49 della Costituzione che ha riformato il finanziamento pubblico per i pariti, per ora, soltanto in teoria.
La politica è “una voce di spesa significativamente maggiore rispetto a quella sostenuta nei paesi demograficamente confrontabili con l’Italia, quali Germania, la Francia, la Gran Bretagna, la Spagna. Ne consegue l’esigenza, non ulteriormente procrastinabile, di un’adozione di misure contenutive coerenti”, ammonisce la Corte dei Conti. Un’operazione che va attuata immediatamente, senza ulteriori rinvii, e che necessita della volontà politica di una classe dirigente incline al sacrificio, per il momento, solo sulla carta.
Carmela Adinolfi
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